(di Mimmo Sinagra) Trentacinque anni sono passati da quando il vice-presidente del Consiglio Superiore della Magistratura, Vittorio Bachelet, veniva ucciso dalle Brigate Rosse sulle scale dell’Università “La Sapienza” di Roma. Il giorno dei funerali, davanti al Presidente Pertini commosso e stupefatto, il figlio Giovanni perdonava pubblicamente gli assassini del padre. Questi fatti portarono alla ribalta della conoscenza generale un uomo altrimenti schivo, riservato, riflessivo, non “mediatico”, quale appunto era Vittorio. Gli fui presentato molti anni prima, da ragazzo, quando era Presidente Nazionale dell’Azione Cattolica, da mio padre, Presidente diocesano dell’Azione Cattolica di Palermo, a Roma in occasione di un Consiglio Nazionale. Mi colpì il suo sorriso, buono ed aperto. Seguii con passione, negli anni della mia giovinezza, questo laico cattolico, così amico di Paolo VI, ma non per questo succube della Gerarchia ecclesiastica; un laico “in piedi”, che coniugava la sua immensa preparazione giuridica con una non comune profondità teologica e soprattutto con una intensa spiritualità. Un laico che affermava, sulle orme del Concilio, “riversato” nel nuovo Statuto dell’Azione Cattolica, il ruolo del laicato nella Chiesa, un ruolo non di rimorchio nè di sudditanza, ma indispensabile tramite del messaggio evangelico nel mondo e nella storia, con autonomia di scelta e di responsabilità; una laicità del cristiano che si confronta con la laicità del non credente, valori entrambi, e non in contrapposizione. Bachelet come Lazzati, La Pira, Dossetti, Moro: grandi figure di cristiani, grandi figure di uomini di cultura, impegnati nel sociale e nel politico; uomini dalla risposta “lunga”, meditata, non dalla battuta magari ad effetto ma non adeguatamente riflettuta.
Di Vittorio Bachelet poi ho avuto la grazia e la fortuna di apprezzare l’umanità, il suo saper ridere, stare in compagnia, a tavola, il suo saper ascoltare anche le persone più umili e meno colte; é, d’ altra parte, i suoi discorsi compiuti, puntuali, colti, ricchi di spunti di riflessione e di spiritualità, nati certamente dallo studio ma anche da una profonda vita di preghiera.
Ricordo, in particolare, la conclusione della sua relazione alla sua ultima Assemblea Nazionale di Azione Cattolica. Fu una citazione di Tagore: “Dormivo, e sognavo che la vita era gioia. Mi svegliai, e vidi che la vita era servizio. Volli servire, e vidi che servire era gioia”.
Fui testimone anche di un episodio che per me rimase impresso indelebilmente nella mia mente e nel mio cuore di giovane, che testimonia la semplicità di quest’uomo. Nella stessa Assemblea Nazionale, durante la Messa, si alzavano in molti per le varie proposizioni della preghiera del fedeli. E quasi facevano a gara per proporre intenzioni complesse ed elevate, forbite e lunghe. Ricordo come fosse oggi che lui si alzò dal suo posto, si accodò alla fila e, quando fu il suo turno, disse soltanto: “Per i nostri bambini, noi ti preghiamo”.
Le Brigate Rosse seppero scegliere in lui , come in Aldo Moro, il bersaglio “giusto”, cioè chi poteva dare, secondo il loro modo di pensare, maggiormente fastidio, per statura culturale e politica; come d’altronde, in altro contesto, fece la mafia nei confronti di Padre Puglisi.
Bene fa dunque Sergio Mattarella, nel suo ruolo di Presidente della Repubblica e in quanto tale del Consiglio Superiore della Magistratura, a recarsi oggi alla Sapienza a rendere omaggio a Vittorio Bachelet e a celebrarne la memoria.