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Poesia e terrore: Timbuktu

Timbuktu_1Timbuktu (Le chagrin des oiseaux, Francia, Mauritania, 2014, 97’)

Regia: Abderrahmane Sissako; sceneggiatura: Abderrahmane Sissako, Kessen Tall;  interpreti: Ibrahim Ahmed aka Pino (Kidane), Toulou Kiki (Satima), Abel Jafri (Addelkrim), Fatoumata Diawara (Fatou), Hichem Yacoubi (jihadista); montaggio: Nadia Ben Rachid; fotografia: Sofiane El Fani; musiche: Amine Bouhafa; distribuzione: Academy Two; età consigliata: dai 16 anni.

 

 

 

Sinossi

Non lontano da Timbuktu, occupata dai fondamentalisti religiosi, in una tenda tra le dune sabbiose vivono il tuareg Kidane, la moglie Satima, la figlia Toya e il dodicenne Issan, il giovanissimo guardiano della loro mandria di buoi. In paese tutti soffrono perché sottomessi al regime di terrore imposto dai jihadisti, determinati a controllare le loro vite. Musica, risate, sigarette e addirittura il calcio, sono vietati. Le donne sono obbligate a mettere il velo ma conservano la propria dignità. Ogni giorno una nuova corte improvvisata emette tragiche sentenze. Dapprima Kidane e la famiglia riescono a star lontani dal caos di Timbuktu, ma poi il loro destino muta improvvisamente. Kidane uccide accidentalmente Amadou, il pastore che ha massacrato Gps, il bue della piccola mandria a cui Kidane e i suoi erano più affezionati. Il tuareg sa bene che dovrà affrontare la corte e la nuova legge che hanno portato gli invasori.

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Commento

A poco più di un mese dai terribili attentati di Parigi esce in Italia Timbuktu, il film che ha vinto il Premio della Giuria Ecumenica all’ultimo festival di Cannes ed è candidato agli Oscar 2015 per il Miglior Film Straniero. L’opera, poetica e con una colonna musicale molto bella, con intenzioni coraggiose quanto necessarie, non si raccomanda solo per la sua stringente attualità, anche nel momento in cui una ricerca (Global attitudes), condotta dal Pew Research Center in 44 Paesi fra 48.643 persone, registra l’odio etnico e religioso oltre alla disuguaglianza, l’aids e altre malattie, le armi nucleari, l’inquinamento o altri problemi ambientali, tra le principali minacce al mondo.

Il mauritano Sissako, uno dei più importanti registi e produttori africani, dichiara di essersi mosso dopo un crimine inspiegabile accaduto il 29 luglio 2012 ad Aguelok, una piccola città nel nord del Mali: «Una coppia di due trentenni, genitori di due figli, sono morti lapidati. La loro unica colpa era di non essere sposati. Il video del loro assassinio, pubblicato sul web, è mostruoso. La donna muore colpita dalla prima pietra, mentre l’uomo butta fuori un urlo disperato. Poi silenzio. Aguelok non è Damasco o Tehran. Non è trapelato niente di questa storia. Tutto quello che racconto è orribile, lo so, non voglio usare un fatto così atroce per promuovere il film. Ma non posso dire che non sapevo e testimonio quello che è accaduto, nella speranza che nessun bambino debba mai più imparare che i propri genitori sono stati uccisi perché si amavano». Al contempo sappiamo che nel 2012 per un anno fu occupata Timbuctu, dove furono distrutti meravigliosi monumenti, bruciate preziose biblioteche islamiche, con stupri e violenze ma che prima era un luogo straordinario di tolleranza e scambi. «È questo il vero Islam ed è per questo che l’occupazione di Timbuctu, da parte di persone provenienti da altri luoghi è simbolica» aggiunge Sissako. «Timbuctu è un luogo mitologico, tutti ci siamo sentiti feriti dalla sua occupazione. Un anno durante il quale tutta la popolazione è stata presa in ostaggio. Un anno durante il quale i media si sono soprattutto focalizzati sugli ostaggi occidentali rapiti in questa parte del mondo. Due cose mi hanno colpito in particolare, l’assurdità e la violenza degli atti che i jihadisti hanno commesso quando sono entrati a Timbuctu e soprattutto la lapidazione di quella coppia che è avvenuta proprio a Timbuctu. Ho voluto raccontare subito quella storia per mostrare che in quel luogo e in quel momento quello che stava capitando era assolutamente paradossale. Tutte le cose anomale, non normali vengono spesso taciute, non menzionate. Restiamo in silenzio quando le vittime sembrano così lontane e diverse da noi».

Timbuktu_3Oggi questi fatti di cronaca s’ingigantiscono nella nostra immaginazione perché la piccola famiglia assediata dai fondamentalisti islamici, militarizzati e crudeli, ci riporta alla mente i tragici fatti del 7 gennaio 2015 con il terrore alimentato dallo Stato Islamico. Nel film a nulla valgono i discorsi pacificatori dell’imam al capo dei jihadisti o i piccoli gesti di ribellione della venditrice di pesce a cui s’impone di mettere i guanti. Così, non solo li vediamo ma ne ascoltiamo i proclami e i dialoghi quotidiani, le motivazioni delle sentenze quanto gli assurdi divieti. Qui è l’attualità del film. Nel mostrarci con tocchi lirici quanto ironici, ellissi comprese (come quella della partita di tennis in Blow-up di Antonioni), non solo la profonda umanità degli assediati, in primis la famiglia che vive pacificamente nel deserto, ma anche l’umanità degli stessi assedianti. Di cui, pur denunciandone la barbarie, il regista sa rappresentare le contraddizioni, anche grottesche: proibiscono il gioco del calcio e poi parlano tra loro di squadre nazionali e grandi calciatori. O fumano di nascosto.

Ancora il regista: «Mostro anche che possono essere cortesi: restituiscono gli occhiali e i medicinali all’ostaggio europeo e gli offrono il tè. Un secondo dopo, magari lo decapiteranno… ma racconto anche come possono lapidare e ammazzare una coppia e flagellare una donna perché ha cantato. Ma in ogni gruppo, e quindi anche nel loro, ci sono per forza tutti i tipi di individuo: il cattivo, l’intellettuale o anche un rapper. Tengo molto al personaggio del rapper, un giovane a cui hanno fatto il lavaggio del cervello e che pensa che, quando faceva musica, era nel peccato. Abbiamo saputo poi che l’uomo che ha tagliato la gola all’ostaggio americano James Foley era con ogni probabilità un ex rapper londinese».

Timbuktu_4Il film ci dice che anche l’Islam è una religione di pace e che dobbiamo saper distinguere il fanatismo assolutista e i fondamentalismi in tutte le religioni. Intanto sul tavolo del nostro ministro dell’Istruzione giace da tempo la proposta di molte università italiane d’introdurre nelle scuole un’ora di storia delle religioni che, accanto all’insegnamento della religione cattolica, sappia insegnare a distinguere fra i vari credi e a rispettare le differenze. Oltre la paura, come quella che si leggeva nelle scuole italiane all’indomani dell’attentato a “Charlie Hebdo”.