DOMENICA DELLA SACRA FAMIGLIA
(Sir 3,3-7.14-17a; Col 3,12-21; Mt 2,13-15.19-23)
La scorsa domenica abbiamo avuto modo di riflettere su Giuseppe, sul suo dramma risolto dall’intervento dell’angelo e concluso con la decisione di Giuseppe di prendere con sé Maria, che portava nel grembo il figlio, indicato come l’Emmanuele. La famiglia desiderata diventa famiglia accettata con amore dalla decisione di Giuseppe, che da quel momento ormai, realmente, prende con sé, assume nella sua vita Maria e Gesù. Abbiamo contemplato la realizzazione della promessa nel Natale del Signore e questa domenica la Chiesa ci fa soffermare per mettere a fuoco la santa famiglia di Nazareth, presentandocela nella realtà concreta della vita quotidiana, una vita di difficoltà, di preoccupazioni, di adattamento e di stenti. La descrizione del Vangelo di Matteo procede con degli schemi che egli ripete man mano che va avanti nel suo racconto: ci viene presentata una situazione della vita della santa famiglia, segue il sogno con l’indicazione di un angelo del Signore della via da seguire, quindi si mostra Giuseppe all’opera per fare quanto gli viene indicato, si chiude infine con la citazione di una profezia che trova il suo adempimento. Lo abbiamo visto la scorsa domenica, e questa domenica il Vangelo segue con fedeltà lo stesso schema.
Come si può costatare, si tratta non di storielle, ma di teologia della storia. Matteo ci vuole indicare come Gesù viene a rivivere e quindi ad assumere tutta la storia trascorsa dell’Israele di Dio, ma nello stesso tempo si immerge nella storia viva dell’umanità, di ieri, di oggi e di domani, prendendo sempre le parti del rifiutato, del perseguitato, dell’esule, del rifugiato, del povero insomma, per dirci che Dio è definitivamente con noi. Egli non si assume le nostre responsabilità, non interviene in modo miracolistico per risolvere una brutta situazione, non ci fa sconti particolari sulla nostra dura esistenza di ogni giorno, ma ci assicura che si trova con noi, si trova con gli ultimi e con gli oppressi in ogni condizione di vita che essi attraversano. Lo vediamo, come termine di paragone, nelle vicende che la pagina del vangelo ci presenta in questa domenica della Santa Famiglia. La narrazione inizia con la partenza dei Magi, che hanno portato un momento di consolazione e di gioia profonda nella casa di Maria e Giuseppe. Subito dopo, però, Giuseppe viene avvisato in sogno da un angelo che Erode sta facendo ricercare il Bambino per metterlo a morte, per cui gli viene detto di prendere con se “il Bambino e sua Madre” e di fuggire in Egitto.
La famiglia di Nazareth è costretta a fuggire dalla sua terra, per cercare rifugio in un altro paese, nella speranza di poter vivere al sicuro, di trovarvi una casa e un lavoro, una nuova possibilità di vita. Come non pensare alla situazione odierna di milioni e milioni di famiglie che sono costrette ad andare via dalla loro terra, perché sono perseguitati, perché non hanno la sicurezza del vivere quotidiano, perché viene preclusa ogni speranza per il futuro, per la famiglia e per i figli. Come non pensare ai milioni di cristiani di Siria, Egitto, Pakistan, Iraq, Nigeria, Sudan, e di molte altre regioni della terra, che sono costretti a scappare via per poter semplicemente sopravvivere? Come non pensare alle tragedie di tante famiglie che invece di trovare la sospirata nuova terra di libertà e di speranza trovano invece la morte nel fondo del mare? Davvero Gesù ha preso il posto di tutti costoro, dei quali i vari Erodi di ogni tempo desiderano la morte, e con Gesù anche Giuseppe e Maria, la famiglia di Gesù. Quale impressionante indicazione per la famiglia di Gesù che è la sua Chiesa!!!
Può sembrare paradossale proporre la famiglia di Nazareth come modello per le famiglie di oggi, ma, a ben riflettere, si tratta anzi di una scelta straordinariamente valida, perché viene ad offrire i criteri essenziali per una sana vita familiare, secondo le indicazioni di Paolo ai cristiani di Colossi. L’Apostolo insegna ai suoi amici che al di sopra di tutto, come anima e punto forza della vita familiare e dei rapporti all’interno dei membri della famiglia ci sta l’amore, alimentato da un intenso e fiducioso rapporto con Dio e con la sua parola, che diventa la luce che guida costantemente il cammino di ciascuno. Non possiamo non far caso ad alcuni elementi del racconto evangelico che vengono ripetuti, quasi a volerli imprimere nella nostra memoria. Anzitutto all’invito-ordine dell’Angelo di “prendere con sé il Bambino e sua madre” ed il fatto che Giuseppe esegue alla lettera quest’ordine. Egli infatti prende con sé, cioè si prende cura del Bambino e di sua Madre, li protegge, se ne fa carico con responsabilità. Molto interessante questa sottolineatura dell’essere insieme della famiglia di Nazareth, del condividere il quotidiano, dell’affrontare insieme le difficoltà, del vivere insieme sotto la guida della parola di Dio.
In una società dai rapporti frantumati, dove si vive nello stesso luogo, ma si rischia di essere estranei gli uni dagli altri (e spesso, di fatto, è così), di vivere ognuno per conto suo, questo esempio di piena comunione e condivisione è veramente efficace. Giuseppe e Maria non offrono a Gesù una bella casa, la sicurezza economica, ogni possibile agio e comfort che viene richiesto dalle famiglie oggi. Ma essi sono in grado di offrire il dono più grande, più bello e più necessario a Gesù, quello della loro relazione piena di amore e di profonda accettazione e comunione reciproca di vita, di fiducia, di speranza, di saper essere l’uno per l’altro. In mezzo alle prove ed alle persecuzioni, nonostante i disagi e la povertà, essi riescono ad andare avanti nella certezza di fede che non sono abbandonati a se stessi, ma che con loro c’è l’Emmanuele, che cammina con loro, che condivide la loro quotidiana esistenza e la ricolma di pace e gioia.
Don Giuseppe Licciardi