Pentecoste 2019
Gv 14,15-16.23b-26
In quel tempo Gesù disse ai suoi discepoli: Se mi amate, osserverete i miei comandamenti. Io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Consolatore perché rimanga con voi per sempre. «Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui. Chi non mi ama non osserva le mie parole; la parola che voi ascoltate non è mia, ma del Padre che mi ha mandato. Queste cose vi ho detto quando ero ancora tra voi. Ma il Consolatore, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, egli v’insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto.
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Gesù mette in relazione l’autenticità dell’amore dei discepoli con l’osservanza delle sue parole: non definizioni dunque, non promesse, non la teologia dei libri, ma la pratica quotidiana seppur talvolta faticosa del Vangelo, delle beatitudini, della carità. Chi ama in questo modo è aperto a Dio e diventa dimora della Trinità. Lo Spirito santo, come ci ha ricordato l’apostolo Paolo, prende dimora nel cuore del credente.
Ma chi è lo Spirito? È la presenza di Dio nel mondo, è la fenditura sempre aperta tra noi e il Padre. Lo Spirito rende sempre attuali le parole di Gesù, ma non attuali nel senso di tradotte per l’oggi, appianate, alleggerite; lo Spirito ha invece il potere di renderle vive; Egli cioè muove, trasforma, non lascia nulla uguale a prima.
Questo vale, secondo il salmo 103 della liturgia per le cose della natura, ma vale altresì per noi stessi, per la nostra vita, fatta di emozioni e sentimenti contrastanti, che possono essere purificati e trasformati per opera dello Spirito di Dio.
Come la prima lettura ci ricordava, la mattina di Pentecoste è per la Chiesa l’inizio del suo porsi al cuore dell’umanità come sale e come lievito, capaci di scomparire, ma senza per questo essere assenti. Proprio quando lo Spirito promesso dal risorto «riempì tutta la casa dove stavano gli Apostoli» questi non sentono più il bisogno di trattenersi dentro, ma vengono spinti fuori per mettersi accanto ad ogni uomo che cerca Dio con cuore sincero.
Ecco la vocazione della Chiesa e quindi di ciascuno di noi: mettersi accanto all’altro, scomparendo, ma lasciando il segno, ovvero la scia della presenza tenera di Dio che a tutti si rivolge e che tutti vuole incontrare. La presenza dello Spirito nella Chiesa è come un profumo che ci ricorda qualcosa, rinverdisce la memoria, e ci rammenta il buon profumo di Cristo, il suo sacrifico, il suo amore vero e sincero.
Con la Pentecoste è iniziato il tempo della Chiesa e dunque anche il tempo della pazienza, in cui ciascuno, con il suo dono, è chiamato a prendere il proprio posto nella Comunità dei credenti, attraverso un servizio generoso, guardando con gli occhi e soprattutto con il cuore molto lontano, nella memoria della risurrezione di Gesù, Signore, fratello ed amico.
Lo Spirito che santificò gli Apostoli riuniti nello stesso luogo, insieme con Maria, non cessi di santificare la nostra vita, i nostri giorni , il nostro avvenire.
Don Francesco Machì