«NON TEMERE DI PRENDERE CON TE MARIA»
(Is 7,10-14; Sal 23; Rm 1,1-7; Mt 1,18-24)
L’inizio di questa pagina del Vangelo di Matteo è la conclusione della genealogia, l’elenco ordinato dei nomi che parte da Gesù collegandolo direttamente a Davide e ad Abramo, per poi ridiscendere, elencando una dietro l’altra le generazioni che a partire da Abramo arrivano fino a Gesù, passando per Giuseppe e Maria. Questo elenco di nomi non è una fredda nomenclatura, ma attesta la conoscenza e l’amore personale che Dio ha verso ciascun uomo, verso ciascuno di noi. Dio ci conosce e ci chiama per nome. Conosce me e conosce te, personalmente. Ci conosce e ci accetta con tutte le nostre miserie ed entra nella nostra storia personale e ci coinvolge nella sua storia, per dirci che non gli siamo estranei, che Egli ha continuato ad essere vicino all’umanità in maniera così seria, vera e profonda fino a diventare uno di noi, fino a diventare l’Emmanuele. Così in Matteo noi leggiamo un racconto parallelo a quello di Luca, ma in entrambi, da prospettive diverse, noi accogliamo la meravigliosa lieta notizia di Dio che entra in carne ed ossa nel nostro mondo e viene a ridonarci la gioia di appartenere alla famiglia di Dio.
L’incontro con Dio coglie l’uomo di sorpresa. Nel caso di Giuseppe, Dio si presenta a lui tramite il suo celeste messaggero, nel momento in cui Giuseppe si trova in conflitto con se stesso per la drammatica situazione in cui si è venuto a trovare. La sua promessa sposa, Maria, è incinta e Giuseppe è sconvolto perché non è mai stato con lei. Non sa cosa pensare e non sa cosa fare. Ma proprio nei momenti della prova l’uomo tira fuori il meglio di sé. Di Giuseppe il Vangelo ci dice appena che egli è un uomo giusto davanti a Dio e non si sente di accusare la sua promessa sposa di adulterio, così trova quella che umanamente parlando è una soluzione di misericordia: decide nel suo cuore di lasciare Maria, senza esporla alla pubblica infamia. Ma proprio quando egli ha fatto la sua parte, ecco che il Signore gli viene incontro per illuminare Giuseppe della reale condizione di Maria. Sì, Maria aspetta un figlio, ma non c’è stato niente di riprovevole perché Dio stesso è intervenuto con la potenza del Suo Spirito per rendere feconda Maria.
La maternità di Maria è opera di Dio. In lei finalmente si compie la promessa, il segno che Dio aveva dato per mezzo del profeta Isaia: «Ecco, la vergine concepirà e darà alla luce un figlio: a lui sarà dato il nome di Emmanuele». Dio dunque viene a vivere con gli uomini, e Giuseppe è allora un uomo privilegiato perché entra a far parte del progetto meraviglioso di Dio a favore degli uomini. Proprio a motivo del fatto che è un uomo giusto, Dio gli ha affidato un grande compito, quello di rappresentarlo come padre di questo bambino. Sarà lui a dargli il nome, un nome che viene indicato direttamente da Dio e rivela la realtà profonda di questo bambino: Gesù, che significa “Dio salva”. Tutto il turbamento e l’angoscia di Giuseppe si dissolvono in un istante. Giuseppe agisce in maniera coerente con la sua fede e le sue personali convinzioni, così decide di prendere con sé Maria come sua sposa.
Dio è intervenuto alla sua solita maniera, incoraggiandolo a non temere, facendogli comprendere che di mezzo c’è Lui stesso, che sta chiedendo a Giuseppe di imbarcarsi con Lui in questa avventura incredibile, ma vera. Giuseppe sa che Dio è verace e si fida della parola dell’angelo, accettando la missione che gli viene affidata. Una storia meravigliosa quella di Giuseppe, che diventa per noi una delle figure significative dell’Avvento, del modo di vivere di fronte a Dio, del modo di lasciarsi coinvolgere con Dio. Giuseppe ci insegna a saper mettere da parte ogni progetto personale, una volta che abbiamo compreso cosa realmente Dio si aspetta da noi. Dio ci prende così come siamo, con le nostre qualità e le nostre debolezze, con le nostre paure e con la nostra disponibilità. Anche a noi lancia la corda del “non temere” perché ci lasciamo tirare da Lui e proseguiamo con nuova fiducia e speranza il nostro faticoso cammino quotidiano.
Partendo dalla luminosa intuizione di Papa Francesco, che Dio, per farsi riconoscere dagli Israeliti, si è presentato come Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe, assumendo il cognome di questi uomini per indicare la sua appartenenza al popolo, la sua familiarità con loro, potrei continuare questa indicazione riflettendo sul fatto che Gesù è venuto in mezzo a noi come “figlio di Davide” o generato, uno dopo l’altro, da tutta la serie dei suoi progenitori. Gesù porta nel suo sangue tutta l’umanità che lo ha preceduto, un sangue misto di miseria e di gloria, di generosità e di vigliaccheria, di santità e di peccato, di giustizia e di corruzione e non si è vergognato di questo. Solo da Maria ha ricevuto un “sangue” immacolato. Adesso, nel nostro DNA noi portiamo pure Gesù, perché la sua storia continua in noi, il suo sangue continua a scorrere dentro di noi. Solo che, con la sua venuta, non è più la carne ed il sangue che contano, ma si diventa figli di Dio per quella somiglianza spirituale che riusciamo ad accogliere in noi da Gesù. Per concludere, quanto di Gesù lascio trasparire nella mia vita? Quanto di Gesù scorrere nel mio sangue? Quanto di Gesù si intravede nel mio volto?
D. Giuseppe Licciardi