L’autorevole tenerezza del pastore
IV domenica di Pasqua – Anno A
Gv 10,1-10
Un intreccio di similitudini a disegnare un quadro dalle tonalità calde e famigliari. Similitudini così immediate ed efficaci da essere degne del più grande dei poeti. E Gesù poeta lo è stato. Poesia (dal greco poesis), infatti, è sinonimo di creazione. E Gesù, con i suoi gesti e con le sue parole, ma soprattutto con la sua morte e risurrezione, ha ri-creato quell’immagine dell’uomo che il peccato aveva deturpato, per riconsegnarlo alla bellezza originale.
Per parlare di sé, dunque, il poeta Gesù tratteggia due immagini che s’intrecciano in maniera meravigliosa nel brano di questa domenica: “il pastore” e “la porta”. Due immagini distinte e legate al tempo stesso. Due immagini che Gesù prende dalla sapienza dei padri quando nei salmi cantavano: “Il Signore è il mio pastore: non manco di nulla. Su pascoli erbosi mi fa riposare, ad acque tranquille mi conduce” (Sal 22/23); e ancora “Questa è la porta del Signore; per essa entrano i giusti” (Sal 118,20). Gesù le accoglie e le utilizza in maniera del tutto inedita. Anzitutto parlandoci di sé e della sua missione, e poi mettendoci in guardia da coloro che, al contrario, sono “ladri e briganti” e, approfittando del loro potere e della loro autorità, si impadroniscono del gregge.
Dietro queste due immagini, dunque, si nasconde, da un lato tutta la tenerezza di Gesù che come il pastore “chiama le sue pecore, ciascuna per nome”, “le conduce fuori” e “cammina davanti ad esse”. Dalle stesse immagini, tuttavia, emerge tutta la sua autorevolezza, perché egli è la porta di cui può dichiarare, senza possibilità di fraintendimento, che “se uno entra attraverso di me, sarà salvato”. Davanti a questa autorevole tenerezza, a noi pecore spetta il compito di ascoltare la sua voce e seguirlo, nella libertà di chi può entrare ed uscire attraverso di Lui. Questa è la vita in Cristo, nulla di più semplice e impegnativo insieme.
E poi c’è il ladro o brigante. Anch’esso si riconosce per la sua mission: “rubare, uccidere e distruggere”. Perché, per il resto, riesce ad accedere al gregge “da un’altra parte”. Ecco perché, nei suoi confronti, a noi pecore tocca vigilare: ci accorgeremo, infatti, che si è impadronito della nostra vita solo dopo, quando la distruzione è già in atto. Le maschere e i travestimenti, con cui i ladri sono soliti camuffare il loro aspetto, non ci salverà.
Questo meraviglioso poema ha anche una conclusione, una conclusione che è, in fondo, una domanda: e tu a chi scegli di affidare la tua vita? Da chi ti lasci condurre? Sta a te, a me, a ciascuno di noi, concluderlo questo poema, facendo di queste similitudini una bussola attraverso cui orientare il nostro cammino di vita.
Don Michele Pace