«SIGNORE, É BELLO PER NOI ESSERE QUI!»
(Gen 12,1-4; Sal 32; 2Tm 1,8b-10; Mt 17,1-9)
Il racconto delle tentazioni di Gesù ci ha consentito di misurarci con la nostra esistenza quotidiana sottoposta costantemente alla tentazione, che ci logora, che ci può anche devastare, ma che può essere tuttavia una opportunità inedita ed incredibile per aiutarci a scoprire noi stessi ed a verificare il senso delle nostre scelte. La tentazione è un momento indispensabile di verifica per vedere come è orientato il nostro cuore e quale posto Dio ha in esso. Il Vangelo della Trasfigurazione ci rivela la meta della nostra esistenza e ci invita a considerare quale può essere il risultato della lotta contro il male, del saper resistere alle tentazioni e respingere le suggestioni ingannevoli del Tentatore. Porre la propria fiducia in Dio significa lasciare che Dio agisca in noi secondo la sua potenza e misericordia per fare di noi quelle creature che Egli da sempre ha sognato. Se Pietro è talmente abbagliato ed affascinato dalla visione che gli si presenta dinanzi, da non saper trattenere il suo stupore dinanzi a tanta indescrivibile bellezza, allora ciò vuol dire che, nonostante tutto, vale la pena lasciarsi ammaliare da Gesù e seguire le sue orme, perché, al termine del duro e faticoso cammino, ci troveremo immersi nella luce della sua infinita bellezza.
Non è un caso che il racconto della Trasfigurazione del Signore viene posto subito dopo che Gesù ha rivelato ai suoi discepoli quale cammino Egli intende percorrere per portare a compimento la volontà del Padre. Egli rivela che si prepara ad andare incontro al tradimento, all’accusa di essere un bestemmiatore e all’infame condanna a morte, ma dopo tre giorni lo attende la risurrezione. Ma i discepoli non riescono ad accettare questa logica che si oppone alle loro aspettative riguardo al Messia. Un Messia umile, rifiutato, umiliato, un Messia che va incontro al fallimento della sua missione non riescono ad accettarlo, tanto che si rifiutano di ascoltare quello che Gesù dice subito dopo, che cioè tutto questo è solo una parte del cammino che lo conduce alla pienezza della vita con la risurrezione. A questo punto Gesù, invece di servirsi soltanto delle parole, sceglie di seguire un diverso stile di insegnamento, quello esperienziale, riservandosi di scegliere solo alcuni dei dodici, tre per l’appunto, Pietro, Giacomo e Giovanni, per far vivere loro una incredibile esperienza, che avrebbe fortemente segnato il loro rapporto con Gesù e con Dio stesso. Il risultato di questa esperienza magari non si coglie subito, ma solo a distanza, a tempo opportuno.
L’incontro con Dio, per quanto possa coglierci all’improvviso, ha bisogno tuttavia di una preparazione, che può avere diverse modalità, a seconda delle persone, perché Dio si adatta alle nostre dimensioni per elevarci alle sue. Gesù segue la via più comune, invitando i tre apostoli prescelti a seguirlo sul monte, un luogo dove egli spesso suole ritirarsi per mettersi in preghiera e sostare in comunione con il Padre suo. Anche i luoghi hanno un loro segreto ma comprensibile linguaggio. Le colline e le montagne ti portano ad allontanarti dai luoghi abitati, dai luoghi frequentati dalla folla, a tirarti fuori dalla confusione, dal chiasso, dagli affari e dagli interessi che abitualmente occupano la tua esistenza. I luoghi alti ti fanno avvicinare verso il cielo, dimora di Dio, e quindi sono i luoghi preferiti per incontrare Dio. I luoghi alti richiedono uno sforzo, una fatica, ma ti promettono un riposo tranquillo e inoltre uno stacco dalla routine quotidiana e la visione incantevole di un panorama che altrimenti ti rimarrebbe affatto sconosciuto ed inimmaginabile.
Quando giungono in cima al colle, li attende una sorpresa che mai occhio umano ha potuto vedere, né fantasia alcuna immaginare. I tre sono non solo spettatori attoniti, ma coattori di una teofania, una improvvisa rivelazione di Dio che squarcia il velo del visibile per immergerli nella dimensione dell’invisibile, che si rivela loro e che prende tutte le loro capacità, la vista, l’udito, l’emozione, il cuore, lo spirito, tutto il loro essere. Sono talmente presi dalla luminosa visione di Dio che Pietro non può fare a meno di esprimere il suo stupore: «Signore, è bello per noi essere qui!». Egli vorrebbe prolungare questa esperienza, quasi a farci comprendere che ormai non ha più niente da desiderare, che non gli manca nulla, che la visione di Dio in Gesù, trasfigurato dalla luce divina, colma ogni possibile desiderio e gli da la sensazione di aver raggiunto la pienezza. Dio solo basta. Dio si rivela come il tutto della sua vita. Ma questo serve solo per accendere ed orientare il suo desiderio. Gesù non è solo, nella sua luce sono avvolti Mosè ed Elia, i grandi profeti che hanno visto il volto di Dio ed hanno anticipato nella fede la venuta di colui che veniva portare a compimento la legge e i profeti.
La nube luminosa che li avvolge scompare prima che ancora se ne rendano conto, così che Pietro e gli altri due discepoli si trovano di fronte al solo Gesù, il quale dice loro di non fare ad alcuno parola di quello che avevano visto e udito. Essi porteranno impressa nel loro cuore la voce del Padre che proclama con grande solennità: «Questi è il Figlio mio, l’amato: in lui ho posto il mio compiacimento. Ascoltatelo». Questa è la consegna che hanno ricevuto: ascoltare Gesù, fidarsi della sua parola come Egli si è fidato della parola del Padre che si compiace di Lui. Questa consegna vale anche per noi. Il cammino della Quaresima, con tutte le sue esigenze, preghiera, digiuno, opere di amore, rifiuto del male e delle varie scorciatoie per realizzare noi stessi, è un cammino di umanizzazione crescente, che tende a darci una nuova configurazione. Da persone sfigurate dal peccato, dalle nostre miserie e debolezze, siamo chiamati a uscirne come persone trasfigurate, attratte dalla bellezza del volto di Dio rivelatosi in Gesù, ma che si rivela anche in noi.
Don Giuseppe Licciardi