La parabola dei vignaioli omicidi
«Uccidiamolo, ed avremo noi la sua eredità»
(Is 5,1-7; Sal 79; Fil 4,6-9; Mt 21,33-43)
Bellissimo e carico di pathos questo canto d’amore che Dio rivolge alla sua “vigna”, il suo popolo scelto e prediletto, ma che ha costantemente dimostrato di non tenere molto al rapporto d’amore con il suo Dio-sposo. Un cantico struggente dell’amore deluso, ignorato, maltrattato e tradito. Come un innamorato che viene abbandonato, Dio si chiede che cosa abbia fatto di sbagliato, in che cosa non sia stato in grado di venire incontro alle esigenze della sua amata sposa-vigna. Così enumera una per una tutte le opere che ha compiuto per coltivare e curare, proteggere la sua vigna, per farla bella, prosperosa e grande, per poi accorgersi che alla fine essa non ha dato l’atteso raccolto di uva matura e dolce, ma solo acini aspri ed immangiabili. Nel suo amore deluso vuole tentare di mettere in atto alcune misure radicali di punizione, per recuperare l’affetto della sua prediletta, persino di abbandonarla temporaneamente, per vedere se sarà in grado di comprendere che lontano dal suo Dio ha tutto da perdere, persino se stessa. Dio non può fare a meno di continuare ad amare il suo popolo, nonostante che esso lo rifiuti, per questo continua a ripetersi: “Cosa dovevo fare ancora, che non ho fatto?”.
É una domanda carica di sofferenza, che lascia trasparire il dolore immenso del cuore di Dio, ma che ci fa sempre interrogare sul mistero del cuore dell’uomo, che sebbene sia stato fatto a misura di Dio, sembra volergli sfuggire da tutte le parti. Ed è come se una forma di persistente incomprensione continui a manifestarsi sempre nel rapporto tra Dio e l’uomo. Non ci possiamo sorprendere allora, se, nonostante tutte le cure e le attenzioni da parte dei genitori, degli educatori, che pure sono sempre limitati, non sempre si raccolgano i frutti attesi e le sorprese e le delusioni sono davvero tante. Ma Dio continua ad amare e continua a farsi sentire nei modi più svariati che la sua sapienza riesce a mettere in atto, anche se non sempre noi uomini siamo in grado di riconoscere e percepire i suoi messaggi. Le nostre vedute e le nostre attese non corrispondono sempre alle sue. Non è facile entrare in sintonia con Lui. Quando questo succede, allora si compie il più grande miracolo e l’uomo si fa collaboratore di Dio, suo partner, perché le vie di Dio diventano le sue vie ed i pensieri di Dio diventano i suoi stessi pensieri e nelle opere dell’uomo si manifestano le opere di Dio.
Di solito però avviene questa drammatica incomprensione nei confronti di Dio, per cui la storia registra sempre una sorta di incapacità di comunicare con lui, di accogliere il suo messaggio. Si arriva persino a rifiutare Dio e a mettersi in contrasto con Lui, fino a diventare suoi nemici e volerlo escludere dalla propria vita. La storia del popolo di Dio, che in fondo è la storia di ognuno di noi, ci rivela questo mistero di iniquità che agisce nel cuore dell’uomo. Gesù, di fronte ai sacerdoti ed agli anziani del popolo, attraverso la famosa parabola dei vignaioli malvagi, viene a rivelare questo tradimento di Dio che lungo i secoli si è maturato in seno al popolo prediletto, che ha costantemente rifiutato tutti i richiami di Dio fatti arrivare per mezzo dei profeti, ed infine per mezzo del proprio Figlio, che non è stato riconosciuto ed accettato, anzi è stato cacciato via come un estraneo ed impostore ed è stato condannato addirittura come nemico di Dio. La vigna a questo punto viene tolta a questi cattivi vignaioli per essere affidata ad altri, nella speranza che riescano a portare frutto. In fondo l’interesse di Dio è la prosperità della vigna, perché Egli la ama, e la sua gioia è quella di vederle produrre i frutti che è capace di produrre.
Nel rileggere questa parabola, è chiaro che non possiamo fermarci a guardare solo a quello che è avvenuto al popolo dell’antica alleanza, che ha finito col non capirsi più con Dio fino a non riconoscere più la sua voce e quindi rifiutarla apertamente. Perché la parabola adesso è rivolta a noi. Il rischio corso dal popolo d’Israele può diventare il rischio del nuovo popolo di Dio, di ciascuno di noi, della nostra società, che apertamente tende ad escludere in misura sempre più ampia Dio dall’orizzonte del suo cammino. Non si accettano i comandamenti del Signore come codice di valori che possono guidare la società umana in un cammino di pace e di vera libertà, nel rispetto della dignità di ogni persona. Diventa “legge” quello che è il comune sentire della gente, pilotato non più per vie nascoste e sotterranee, ma apertamente, dalle varie lobby di potere e di interessi.
Non è più l’uomo ed il bene dell’uomo ad essere l’impegno primario della politica e della vita della società, ma è il denaro e l’interesse dei potenti, privo del sano correttivo della solidarietà e della difesa dei poveri e dei deboli, che diventa la logica che manda avanti la società. Ed è un logica di morte, non di vita, di sfruttamento, non di benessere, di barbarie, non di progresso. Come nella parabola il Figlio viene bandito fuori della vigna per essere ucciso, così pian piano Dio viene in ogni modo estromesso dalla nostra società, la sua presenza non è gradita, è scomoda, perché esige rispetto per l’uomo, esige giustizia, esige cura dei deboli e dei poveri, esige condivisione e non esclusione, esige accoglienza e non scarto delle persone. Nonostante l’esperienza ci dice che quanto più l’uomo si allontana da Dio, tanto più diventa nemico dell’uomo, la nostra società rifiuta Dio e così continua nel suo cammino di disumanizzazione, di violenza, di barbarie. Chi rifiuta Dio finisce col rifiutare la presenza di Dio che rimane impressa, nonostante tutto, in ogni uomo.
Giuseppe Licciardi (Padre Pino)