XIV Domenica T. O. – Anno B –
Vangelo di Marco (6,1-6)
Da sempre è stato così: “Nemo propheta in patria”! Lo dice Gesù nel brano di oggi, ma vale anche per i tanti che ne fanno esperienza: Nessuno è profeta nella propria patria, perché un po’ per diffidenza, un po’ per invidia è difficile cogliere appieno le qualità di chi si conosce bene, del quale si sa tutto, anche le cose più intime.
Gesù per i suoi concittadini è rimasto «il falegname, il figlio di Maria, fratello di Giacomo…» (Mc 6,3): guardato con gli occhi di sempre, nessuno riesce a vedere la bellezza della Sua anima, a cogliere la profondità delle parole, a capire la novità della Sua proposta.
Mi stupisce sempre la superficialità con la quale la gente accoglie o rifiuta le persone: in modo frettoloso, senza verificare, sperimentare, valutare. Così è stato per Gesù e continua ad esserlo ancora oggi.
«Da dove gli vengono queste cose?» (Mc 6,2), dice la gente di Gesù.
Se solo avessero guardato più attentamente quel “falegname”, se avessero ascoltato con l’orecchio del cuore le sue parole, avrebbero capito non solo che Gesù è il Messia, il Figlio di Dio, ma anche che da Nazareth ha avuto inizio la vita nuova, la speranza per tutti, l’inizio di un mondo di pace possibile, quello che tutti cercano e che solo con l’aiuto di Dio è realizzabile.
Il Vangelo oggi ci insegna ad accogliere Gesù, a riconoscerlo il Signore della nostra vita, ad ascoltare la Sua parola, a non essere diffidenti come la gente di Nazareth, ma ci insegna anche a riconoscere i tanti profeti dei nostri giorni, i tanti uomini e donne che, nel nome di Gesù, ogni giorno si spendono per costruire un mondo più giusto e fanno circolare amore, testimoniano accoglienza e solidarietà. Soprattutto, però, il Vangelo oggi ci insegna a essere capaci di saper guardare l’uomo oltre la pura apparenza, la professione che svolge, o il luogo da dove proviene, perché egli è altro.
L’uomo nell’intimo di se stesso porta qualcosa di Dio: il soffio di vita che l’ha animato, il sacrificio del Figlio che l’ha redento e lo Spirito che gli ha donato perché lo sostenga e gli dia forza. In ognuno di noi c’è un frammento di Dio, un seme di vita da Lui gettato nel profondo del nostro cuore, un seme di speranza che dobbiamo lasciar crescere per essere visibile a tutti.
«E si meravigliava della loro incredulità» (Mc 6,6).
La sua gente non crede, non si apre alla fede. Pensa che Dio sia il totalmente altro, l’irraggiungibile, il dio lontano. Se solo avesse guardato, creduto, scrutato la storia, anche quella biblica, avrebbe capito che Dio è sempre stato vicino all’uomo, più di quanto si possa immaginare.
Avrebbe compreso che così com’è stato per l’umile ragazza di Nazareth, Maria, lo Spirito del Signore si posa nel quotidiano della Storia, nella ferialità della vita; viene dove si consumano i giorni dell’esistenza umana: famiglia, lavoro, svago, riposo. E anche a noi, com’è stato per Maria, ripete: “Non temere, il Signore è con te”.
La fede che Gesù richiede, quella veritiera, che ha il colore azzurro del cielo, che piace al Nazareno passa per la capacità che abbiamo di riuscire a vedere l’Infinito presente nel finito, Dio nell’uomo, il Suo cuore abbracciato al nostro.
«Ed era per loro motivo di scandalo» (Mc 6,3).
Gesù rompe tutti gli schemi convenzionali. E’ la novità assoluta, mai vista. La Sua parola mette a disagio; Gesù uomo tra di noi, scandalizza. Non si è mai visto un Dio così vicino all’uomo, credergli è proprio impossibile. Eppure è questa la prima rottura con la fede passata. Dio non è più lontano, ma vicino; non è più assente ma presente; è “amico” che conosce ogni cosa.
E’ proprio vero, anche per noi un Dio che vuole essere riconosciuto tra gli ultimi, i malati, i carcerati perde il suo fascino, il suo mistero e rischia di non essere accolto. Gesù, però, continua a ripeterci: “Sono Io” (“Io Sono”, Cfr. Es 3,13) e continuo a camminare con voi, sto in silenzio, continuo ad amare, aspetto il vostro “sì”.