«EGLI DOVEVA RISORGERE DAI MORTI»
(At 10, 34.37-43; Sal 117; Col 3,1-4; Gv 20,1-9)
Già nel modo con cui Gesù vive la passione e la morte c’è un primo annunzio della sua Risurrezione. Seguendo il Vangelo di Luca, questo annunzio della nuova realtà, che Gesù inaugura in pienezza con la sua Risurrezione, viene in qualche modo anticipato nelle tre grandiose affermazioni che Egli fa sulla Croce: la richiesta di perdono per i suoi persecutori, la promessa del paradiso al ladrone pentito e la incondizionata consegna della sua vita nelle mani del Padre.
Una delle situazione più pesanti che ha provocato e continua a provocare morte per l’umanità è senza dubbio la mancanza di perdono, sia dato che ricevuto, sia donato agli altri che donato a se stessi. La mancanza di perdono è un voler affermare che il peccatore è destinato a morire nella sua colpa, il perdono invece è come la concessione della grazia che consente a chi ha provocato sofferenza, disagio e morte di poter vivere. Quando neghiamo il perdono a qualcuno, sia a livello personale, sia a livello di gruppo, sia nel rapporto tra popolo e popolo, tra fazione e fazione, tra etnia ed etnia, tra gruppo religioso e gruppo religioso, in qualche modo affermiamo che l’altro diverso da noi non è meritevole di vivere. Quando usiamo il perdono e la misericordia, quando ridiamo la possibilità di parlare all’altro diverso da noi, è come se lo facessimo passare da morte a vita. Quando avviene una riconciliazione seria e sincera con l’altro, o con la parte negativa di noi stessi, è come se una vita nuova cominciasse a scorrere in mezzo all’umanità. Instaurando, in maniera reciproca, un nuovo tipo di rapporto basato sull’amore, sulla comprensione, sul perdono e il rispetto profondo della dignità dell’altro, noi diamo vita ad un mondo nuovo.
Il giudizio e la condanna radicale dell’altro sono un altro fattore che genera morte tra gli uomini. Questo atteggiamento è certamente un atteggiamento di morte, perchè si afferma chiaramente che l’altro, il ladrone, il peccatore, il malvagio non hanno diritto a vivere, perchè la sua presenza infetta l’umanità e la fa corrompere, facendola avviare su sentieri di distruzione e di morte. Affermare invece che il peccatore può diventare giusto, che il cattivo può diventare buono e l’operatore di iniquità può diventare santo, significa dare speranza e possibilità di vita a chi è condannato a morte. Questa speranza si fa certezza nella promessa solenne che Gesù fa al ladrone pentito, quando gli assicura che la sua vita non è destinata a finire orribilmente nello strazio e nella solitudine della morte, ma al contrario è destinata al Paradiso, al regno delle vita senza fine e della gioia che non conosce tramonto. Il Paradiso è la promessa del riscatto totale della persona da tutte le forme di fragilità, di debolezza e di peccaminosità, ed è la garanzia che l’uomo nuovo, totalmente liberato dal peccato e dai vincoli della morte, è finalmente una realtà.
Infine c’è un’altra realtà, che aderisce come la pelle al corpo dell’uomo e che è legata anch’essa alla morte. Il voler essere i padroni assoluti della nostra vita e della nostra esistenza personale, mettendo da parte di Dio e non riconoscendo in alcun modo la sua signoria su di noi. L’uomo che si sottrae con superbo orgoglio alla comunione con Dio, non riconoscendo affatto che egli è la sorgente della vita e della sua felicità, non fa che voler creare un mondo a immagine della sua debolezza e limitatezza. Quindi asseconda la sua tensione verso la morte, alla quale non può in alcun modo sottrarsi. Così, volendo affermare in tutte le possibili direzioni la sua libertà illimitata, l’uomo finisce col diventare schiavo delle sue passioni e della sua distorta visione del mondo. Gesù, al contrario, in un gesto di amore e di abbandono fiducioso, consegna totalmente la sua vita nelle mani del Padre, il quale, essendo il Signore della vita, gliela ridona in pienezza nella Risurrezione.
Noi oggi celebriamo nella gioia più profonda la Risurrezione di Gesù e crediamo in essa con la certezza di fede che già ci viene testimoniata dai primi stupiti testimoni. Essa non è soltanto la speranza di una realtà futura che a partire da Gesù investe l’umanità intera, ma ci è stata già donata come seme fecondo: la nostra vita è ormai nascosta, con Cristo, in Dio. Noi siamo chiamati a far maturare questo seme, vivendo come creature nuove, che hanno rinunciato ad ogni empietà che li fa riconoscere come figli del diavolo, e che non consentono al lievito di malizia e di perversità di fermentare dentro di loro, per vivere nella libertà e nella gioia dei figli di Dio, in Cristo Gesù.
Padre Pino (Giuseppe Licciardi)