Domenica delle palme e della Passione del Signore
25 marzo 2018
Il Signore Gesù entra a Gerusalemme, la città santa, la capitale regale per eccellenza. Essa accoglie un re, ma un re muto, che accetta di aver bisogno di «un puledro». Un re che salva l’uomo da ogni falsità, che fissa lo sguardo verso il suo destino di morte, un re libero, solo, ma vero. Nel puledro, che si piega dalla fatica possiamo intravvedere Lui che si abbassa per rivelare il volto di un Dio che si china, diminuisce. Egli infatti «svuotò se stesso» ( Fil 2,7) fino a farsi spogliare. Ciò che il verbo, azzittito per amore, riesce a dire gridando “a gran voce” avvolge e travolge l’intero cosmo e stravolge la storia dell’umanità: contempliamo il Christus patiens, che vorrebbe parlare, ma preferisce tacere. Il suo silenzio è per noi peccatori, uomini e donne fragili, non disperazione bensì promessa di redenzione. Rimase umano fino alla fine, per insegnarci a rimanere umani fino alla fine, senza lasciarsi travolgere dagli eventi, dalla paura, dalle illusioni. Libero di amare oltre il limite, rifiutato non offese e non rifiutò il grido della disperazione dei suoi.
Nel mondo antico il termine greco προσκύνησις e il suo equivalente latino adoratio erano usati per indicare gli atti esprimenti il sentimento di venerazione e di rispetto. Imitiamo le donne del seguito di Gesù: Marco per definire il loro rapporto usa tre parole: seguire-servire-salire. Ora tocca a ciascuno di noi trovare il nostro posto nel corteo nuziale di Cristo mite ed umile di cuore. Ora tocca a noi prendere il nostro posto nella danza di quell’amore «mite ed umile» che solo rivela la forza e la passione di una vita donata fino a sembrare inutilmente sprecata.
Entriamo con Cristo nel cuore della terra, nelle solitudini dei fratelli, nelle disillusioni dei tanti, continuiamo a sperare con Maria, ai piedi della croce, e con il centurione fughiamo ogni dubbio poiché «davvero quest’uomo era Figlio di Dio».
Affollato è oggi il Vangelo di tanti personaggi, l’evangelista Marco ci vuole suggerire che dopo ciò nulla può rimanere come prima davanti alla rivelazione di un amore, di una passione di Dio per noi che arriva a così tanto! Non ci resta che adorare e tacere.
Questa domenica si chiude con l’immagine di Giuseppe di Arimatea che con determinazione chiede il corpo di Gesù. Domandiamo anche noi di rimanere umani fino in fondo, non rinunciamo alla nostra dignità di figli di Dio svendendola per poche soddisfazioni, effimere e che non danno senso, che ci riempiono solo di noi stessi, vuote parole perché scarnificate e ridondanti. Imitiamo Giuseppe che «comprato un lenzuolo, lo depose dalla croce, lo avvolse con il lenzuolo e lo mise in un sepolcro scavato nella roccia. Poi fece rotolare una pietra all’entrata del sepolcro». Gesti di attenzione, di rispetto, di cura, di venerazione, di amore. È la trama di una storia che si chiude nel silenzio, lontano dagli “osanna” urlati della folla, il silenzio nel quale nascono le cose vere della vita.
Signore Gesù
Tu sei per noi l’esempio da seguire con passione,
il gesto da contemplare,
il passo che precede ogni nostro passo.
Il silenzio d’amore che grida a gran voce,
il mistero che ci invoca e ci attrae,
sei per noi maestro di mitezza e di umiltà.
Lascia che ogni briciola del tuo cuore
Modelli il nostro cuore, a tua immagine
Sulla via che non ci hai indicato,
ma hai percorso per primo e fino in fondo.
Kyrie, eleison.
Don Francesco Machì