«Sei tu il re dei Giudei?»
(Dn 7, 13-14; Sal 92; Ap 1, 3-8; Gv 18, 33b-37)
L’ultima parola della Chiesa è la professione di fede che riconosce Gesù Cristo nostro Signore e Re dell’Universo, e la sua speranza è proprio quella di trovarsi, nel giorno che non avrà tramonto, faccia a faccia con Lui, nella gloriosa e beatificante visione del suo volto. La domanda che Pilato rivolge a Gesù rimane aperta, nel senso che oggi Pilato la fa risuonare nel cuore di ciascuno di noi e da ciascuno di noi attende una risposta molto personale. Dalla risposta che diamo dipende l’esito della nostra vita, perché si tratta proprio della domanda decisiva. Solo che essa ha bisogno di essere presa in senso assoluto e non ristretta al momento in cui Pilato la pronuncia. Pilato parte dalla situazione immediata: Gesù viene consegnato a Lui come colpevole di essersi dichiarato “Re dei Giudei”, secondo i suoi accusatori. Noi riascolteremo la domanda, come se ci risuonasse così: «Gesù, tu sei il Re?». Già molti dei Giudei si erano pronunciati apertamente, dichiarando: «Non vogliamo che costui regni su di noi».
Possiamo dire che questa è la posizione dei capi dei Giudei e di tutto il loro seguito, compresa quella parte della folla che, per paura o per indifferenza, o per seguire l’andazzo del momento, aveva ripetuto questo grido di rifiuto. C’erano poi quelle persone che, ad esempio, in occasione del grande miracolo compiuto da Gesù con la moltiplicazione dei pani, volevano proclamarlo re, mirando ai propri interessi personali, come se Gesù dovesse risolvere i problemi del loro vivere quotidiano, liberandoli dall’assillo di cercare come provvedere ai loro bisogni. Ma sappiamo come Gesù ha risposto in quella occasione, allontanandosi dalla folla, come a dire che non ci stava, perché a ciascuno di noi é stato affidato il compito di vivere la nostra vita con tutti gli impegni e le responsabilità che essa comporta, senza scaricare sugli altri il peso che noi stessi siamo chiamati a portare. Finché Gesù é pronto a soddisfare i nostri bisogni o i nostri desideri, allora noi siamo dalla sua parte e lo riconosciamo, altrimenti no.
Ma la nostra risposta a Gesù non può essere motivata dall’interesse, dalla convenienza, dai vantaggi concreti che ne possiamo avere. La nostra risposta deve essere di carattere strettamente personale, in modo da lasciare capire che per noi tutta la vita ha senso solo “con, per e in Gesù”. Solo questo é il modo giusto di rispondere alla domanda, riconoscendo Gesù il Re, il nostro Re, Colui al quale abbiamo consegnato con gioiosa fiducia la nostra vita, a prescindere dalle conseguenze. Se rileggiamo attentamente il dialogo serrato tra Gesù e Pilato, ci rendiamo subito conto di alcuni particolari. Anzitutto notiamo come Gesù sposta subito il discorso, cercando di far capire a Pilato che la sua logica si muove su un piano molto diverso dal suo. Quella di Pilato é una logica di potere, di dominio, di interesse e, quindi, di conflitto e di divisione. Quella di Gesù non é di questo mondo, perché è una logica di servizio, di dono di sè, di accoglienza e di condivisione. La logica di Pilato è più facilmente accettabile, perché noi continuiamo vivere la nostra vita, basandoci sulla stessa logica di Pilato. Cerchiamo il potere, i privilegi, cerchiamo la via facile, mentre Gesù si avvia ad affermare la sua regalità salendo sulla croce, consegnando la sua vita per coloro che ama e che vuole ricondurre al Padre.
Davanti a Pilato, in quest’ora in cui la sua vita è posta in gioco, Gesù afferma che Lui è venuto al mondo per instaurare una nuova forma di regalità, quella di cui sta dando prova proprio in questo momento: “dare testimonianza alla verità”. Inoltre Gesù fa un’altra affermazione, che ci riguarda personalmente: «Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce». Ecco la chiamata alla testimonianza personale, che prende forma accogliendo la parola di Gesù e il suo stile di vita, che diventano per il discepolo la verità che deve essere creduta col cuore e realizzata con e nella vita. Noi tradiamo Gesù quando continuiamo a desiderare e cercare i valori propri di questo mondo e viviamo nella nostalgia e nel rimpianto delle cose perdute, come gli ebrei rimpiangevano le cipolle d’Egitto. Il mondo oggi ha bisogno di cristiani che facciano sentire l’odore di Cristo. La nostra società disillusa e resa sospettosa dalle vuote parole, sente il bisogno di cristiani che rendono credibile questo regno di Cristo, impegnandosi per una società più giusta e fraterna, non solo a parole, ma realizzando, nelle parrocchie e nei gruppi ecclesiali, un’oasi in cui il Regno di Dio in qualche modo si può toccare con mano.
Le caratteristiche di questo regno, elencate nel prefazio, non sono e non devono diventare solo slogans da proclamare, ma orizzonti verso cui costantemente tendere ad ogni costo. Noi proclamiamo che il Regno che Gesù ha iniziato a costruire sulla terra é «regno di verità e di vita, regno di santità e di grazia, regno di giustizia, di amore e di pace». Non lasciamo la nostra vita nell’ambiguità delle buone intenzioni, ma abbiamo il coraggio di credere realmente che questo regno di Cristo non è una vaga illusione, ma una realtà possibile, diventandone testimoni, nella misura in cui nel nostro piccolo ci proviamo seriamente a viverla, facendoci discepoli di Colui che non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la sua vita. Se non ci proviamo, non abbiamo il diritto di celebrare questa solennità, che ci grida con voce potente che Cristo regna solo dalla Croce .
Giuseppe Licciardi (padre Pino)