CON MOLTE PARABOLE ANNUNCIAVA LA PAROLA
(Ez 17,22-24; Sal 91; 2Cor 5,6-10; Mc 4,26-34)
Il parlare alla gente comune in parabole non è un modo di rendere incomprensibile il suo pensiero ed i suoi insegnamenti. Al contrario, poiché il suo discorso riguarda il Regno di Dio, che non può essere espresso con la pura e semplice logica dei ragionamenti umani, Gesù ne parla attraverso immagini molto comuni e che si riferiscono alla vita quotidiana. In questo modo rende il suo discorso adeguato ed accessibile alla nostra capacità di comprensione, e ci aiuta ad afferrare l’inafferrabile ed a cogliere l’inesprimibile. La vita non la comprendiamo con una descrizione puntuale dei fenomeni che ci accadono, ma soltanto nella misura in cui la viviamo, nel suo accadere giorno dopo giorno, ed ognuno la vive in maniera assolutamente unica ed irripetibile. La vita non si descrive, ma si vive. Il linguaggio parabolico risulta il più adeguato, e nello stesso tempo il più rispettoso, per aiutarci ad intuire il mistero, che, pur rimanendo al di là delle nostre capacità espressive, tuttavia ce lo fa intuire e ci introduce ad esso: “Il Regno dei cieli è come…”, non “è”, ma “è come…”.
Dio stesso usa questo genere di linguaggio, per rivelare i suoi progetti ed i suoi disegni riguardo al suo popolo, come leggiamo oggi nella prima Lettura del profeta Ezechiele: “Un ramoscello io prenderò…”. Nell’uso che il profeta fa del linguaggio, ci rendiamo conto come il Signore agisce abitualmente attraverso le cose piccole e fragili, quasi insignificanti, e riesce a realizzare per mezzo di esse una realtà grandiosa e straordinaria. Il ramoscello è la parte estrema e meno consistente di un albero, preso dalle cime o dalle punte dei rami di un albero. Esso è molto fragile e si può spezzare facilmente. Ebbene, proprio questo ramoscello piccolo e fragile Dio prende e lo pianta su di un monte alto, come a dire che non teme di esporlo ai venti ed alle intemperie e lo fa diventare “un cedro magnifico”, in cui potranno trovare rifugio tutti gli uccelli, riposando all’ombra dei suoi rami. Dio rivendica a se stesso il potere di dare la vita e di farla crescere, annullando ogni pretesa orgogliosa dell’uomo che vuole sostituirsi a Dio ed attribuirsi ogni merito e capacità. “Io, il Signore, ho parlato e lo farò”.
Il salmista riprende proprio questo concetto, trasformandolo in una inattesa occasione per “rendere grazie a Dio e cantare al suo nome”. È Lui infatti che fa crescere e da vigore ad ogni pianta ed arbusto dei campi, ed è Lui che dà vitalità e fecondità al giusto, che è “come un albero piantato nella casa del Signore e fiorisce negli atri del tempio di Dio”. Sono espressioni, queste, cariche di afflato poetico e ricche di fascino evocativo, e culminano nell’affermazione conclusiva del salmo. Qui il salmista ci assicura come il giusto, che vive alla presenza di Dio e si lascia guidare dalle sue parole, avrà una fecondità straordinaria, che si manifesterà anche nella vecchiaia, che sarà carica di frutti, perché il Signore continua a renderlo fecondo come un albero verde e rigoglioso nel pieno del suo vigore. È davvero molto importante e significativo mettere a fuoco l’opera di Dio nella nostra vita ed esprimere la consapevolezza che tutto ci viene da Lui e che il nostro cuore deve abituarsi a riconoscere il primato di Dio nella nostra vita quotidiana, rallegrandoci di quello che Egli compie per mezzo nostro.
Le due parabole del Vangelo di Marco riprendono quello che abbiamo già ascoltato da Ezechiele e dal salmista. Gesù racconta di un contadino che va a spargere il seme nel terreno e poi non deve far altro che aspettare. Lui non vede cosa avviene sotto terra, non può controllare quel che fa il seme gettato nei solchi, deve limitarsi ad aspettare con fiducia e pazienza. Bellissime le note con cui Gesù sta a descrivere l’impotenza del seminatore: “dorma o vegli, di giorno o di notte, il seme germoglia e cresce. Come, egli stesso non lo sa”. Il seme segue il suo sviluppo in base alla sua legge di crescita. Il contadino si deve fidare e aspettare solo che il seme venga fuori e giunga fino alla sua piena maturazione. Al tempo della mietitura, egli entra di nuovo in scena per mietere e raccogliere il frutto, che alla fine è a suo esclusivo beneficio. Ritorna ancora forte l’invito a non affannarsi e a non preoccuparsi. A ciascuno spetta un lavoro da compiere e deve farlo con serietà e diligenza. Ma quello che spetta a Dio lasciamolo fare a Lui, e fidiamoci di Lui.
Nella parabola del granello di senape, di cui vien detto espressamente che è il più piccolo di tutti i semi, Gesù mette in evidenza il fatto che, una volta cresciuto, esso diventa il più grande di tutte le piante dell’orto, tanto che fra i suoi rami possono trovare riparo e fare il nido gli uccelli del cielo. Oltre a sottolineare la piccolezza estrema del granello di senape, che non lascia sospettare la sua capacità di crescita, Gesù aggiunge in questa parabola una nota molto interessante. Non solo quel granellino contiene in sé una straordinaria potenzialità di crescita, non paragonabile alla sua innata piccolezza, ma, quando è cresciuto, offre ospitalità e ombra agli uccelli del cielo, che si sentono a casa propria tra i suoi rami. Quell’arboscello, che ha ricevuto da Dio la sua crescita, ora mette a disposizione degli uccelli del cielo i suoi rami e si rende così partecipe dell’opera misericordiosa di Dio, che chiama, invita ed accoglie quanti lo cercano con cuore sincero. Anche noi abbiamo ricevuto ogni cosa da Dio. Ma Egli desidera che diventiamo strumenti efficaci della sua bontà e capacità di accoglienza.
Don Giuseppe Licciardi (P. Pino)