«E NOI CHE COSA DOBBIAMO FARE?»
(Sof 3, 14-18; Is 12; Fil 4, 4-7; Lc 3, 10-18)
La richiesta della folla che ascolta la predicazione di Giovanni è la stessa che i primi ascoltatori degli apostoli rivolgono loro, dopo aver udito la parola veemente di Pietro il giorno di Pentecoste: «E noi, che cosa dobbiamo fare?». La domanda rivela come la Parola sia giunta al loro cuore: si sono subito confrontati con essa ed hanno sentito l’esigenza di cambiare stile di vita. La Parola di Dio, quando è accolta in un cuore sincero, non lascia mai indifferenti, perché mette in luce che la nostra vita è chiamata a cose grandi e ci fa sentire dentro la nostalgia profonda di una vita degna dei figli di Dio, quali noi in realtà siamo. Il disagio interiore provocato dalla Parola ci rende consapevoli che qualcosa di veramente importante manca alla nostra vita e che non possiamo più rimanere così come siamo, ma dobbiamo colmare il vuoto esistente.
La folla che ascolta Giovanni rappresenta in fondo tutte le categorie di persone e la risposta di Giovanni è misurata sulle persone che gli rivolgono la domanda. Egli non chiede di fare cose impossibili per rispondere al suo invito di pentirsi e cambiare vita. Chiede le cose più semplici e umanamente più comprensibili e fattibili. Qualunque persona saggia e di buon senso avrebbe potuto dire le stesse cose di Giovanni. Il che significa che le norme fondamentali di una vita buona e degna dell’uomo sono di carattere universale, quindi alla portata di tutti. Uno stile di vita pienamente umano è nello stesso tempo uno stile di vita degno dei figli di Dio. Cosa chiede Giovanni a quelli che si rivolgono a lui?
Alla gente comune, che forse era diventata diffidente nei confronti degli altri e non era disposta ad aprire il cuore ai loro bisogni, chiede semplicemente di condividere quello che ha con chi ne è privo e ne ha di bisogno. Il superamento di ogni forma di egoismo o di desiderio di possedere, chiudendo il cuore ai fratelli, è il primo passo da compiere, nella gioiosa scoperta di essere figli dello stesso Padre celeste. A Giovanni si avvicinano pure dei pubblicani. Essi sono gli esattori delle tasse per il governo romano, che spesso erano accusati di avidità e di profittare della loro posizione per estorcere il denaro ai più deboli, per questo erano molto malvisti dalla gente. Se chiedono il battesimo, vuol dire che si sono resi conto che il loro modo di vivere non era accettabile. Ad essi Giovanni chiede semplicemente di essere onesti, di chiedere solo quello che è dovuto, senza pretendere altro o cercare compensazioni illecite e sottobanco. Ancora una volta emerge l’esigenza di sanare i rapporti nei confronti degli altri, per potersi guardare negli occhi con sincerità e senza doppiezza e di fondarli sulla giustizia e sull’onestà, virtù umane fondamentali.
Anche dei soldati si avvicinano a Giovanni. Si tratta di gente rude e violenta, abituata a non chiedere permesso per prendersi le cose degli altri con la prepotenza. A noi sembra strano vederli in mezzo alla gente che ascolta Giovanni. Forse erano stai mandati per vedere cosa succedeva con quell’assembramento lungo il fiume Giordano. Sta di fatto che anch’essi ascoltano la parola potente ed esigente del Battista e sentono il bisogno di darsi una regolata. Anch’essi chiedono con umiltà e imbarazzo cosa devono fare e Giovanni chiede la cosa più semplice e ragionevole, che nella loro categoria era stata da tempo dimenticata: non abusare del loro potere, agire con senso di umanità e di rispetto nei confronti degli altri, senza ricorrere a violenze e minacce e soprattutto contentarsi della paga che ricevono. Ancora una volta al centro delle richieste di Giovanni c’è la persona dell’altro, con i suoi diritti e la sua dignità, valori che non devono essere sminuiti o violati.
Questo recupero di umanità, che sembra in ogni tempo frantumarsi e perdersi per strada, è ciò di cui si ha maggiormente bisogno per accogliere il figlio di Dio che si fa uomo, per ridare alla nostra umanità la sua bellezza e il suo originario splendore. E Giovanni, che è consapevole di essere stato chiamato a preparare la via al Signore che viene, chiede a tutti quelli che lo ascoltano di prepararsi a questo incontro attraverso un cammino di penitenza sincera ed essenziale. La penitenza non è un sentimento passeggero di disagio con se stessi e nemmeno il rendersi conto di avere sbagliato, ma l’esigenza seria e profonda di un cambiamento reale di vita, di atteggiamenti e di comportamenti. Il profeta Sofonia ci assicura che il Signore è in mezzo al suo popolo e lo rinnova con il suo amore. Questo apre la porta al frutto più bello e gustoso della conversione di vita, che è appunto la gioia.
Il messaggio di questa terza domenica di Avvento è infatti un invito alla gioia, che viene da un cuore rinnovato, capace quindi di accogliere il Signore che viene. Ma il Signore si può accogliere solo ad una condizione, che ci accogliamo a vicenda, che diamo spazio nel nostro cuore agli altri, come ci ricorda l’Apostolo Paolo: “la vostra amabilità sia nota a tutti”. Allora sì che la gioia potrà esplodere nel cuore dei credenti, perché potranno esperimentare che veramente il Signore è vicino, che è con loro e con la gioia sgorgherà l’abbondanza della pace.
Padre Pino (D. Giuseppe Licciardi)