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La bocca esprime ciò che dal cuore sovrabbonda.

La bocca esprime ciò che dal cuore sovrabbonda

(Sir 27,4-7; Salmo 91; 1 Cor 15,54-58; Lc 6,39-45)

A partire dalla “misericordia” divina, Luca mette in evidenza alcuni atteggiamenti e modi di vivere che con Dio e la sua misericordia non hanno niente a che fare, ma che ne sono una triste e falsa caricatura e, di fatto, un tradimento. E lo fa attraverso tre piccoli esempi che rispecchiano il modo di comportarsi di una categoria di persone, che Gesù bolla col titolo di “ipocriti”.

Gesù ha presente davanti ai suoi occhi soprattutto i farisei e gli scribi, che pretendono di essere gli autentici maestri del popolo, per quel che riguarda la legge di Mosè, e che hanno l’autorità di imporre agli altri le rette norme di comportamento.

Cominciamo con la prima parabola del cieco che si mette a guidare altri ciechi come lui e che vanno a finire tutti in una fossa. Il cieco non vede la strada, anche se ha la presunzione di conoscerla così bene, che si permette di mettersi alla guida di altri, con il prevedibile finale di rovinare se stesso e gli altri che lo seguono. I farisei non conoscono affatto la legge maestra che in fondo si trova espressa persino nella prime battute della legge di Dio, che come linea guida ha un motto essenziale che ne rappresenta l’autentica chiave di lettura: “Siate santi come io, il vostro Dio, sono santo!”. In fondo, fin dal principio ci vien detto che non sono le varie prescrizioni della legge e la loro osservanza in quanto tale che salvano, ma è tutto il lavoro interiore che ogni credente compie su se stesso, aiutato dai comandamenti e dalle altre prescrizioni della legge stessa, per cercare di somigliare a Dio imitandone la santità, la giustizia e la bontà. Non è un caso che Gesù aggiunge che il discepolo non può pretendere di essere migliore del maestro, ma può certamente arrivare ad essere bravo come lui.

La parabola quindi ha validità anche per i discepoli, che non possono pretendere di prendere il posto del loro maestro ed usurparne quasi l’autorità. Anche nella Chiesa di Dio si può correre questo pericolo di mettersi al posto di Dio e di Gesù Cristo e ritenere di essere gli autentici portavoce del suo insegnamento, anche se ci si può sbagliare ingannando se stessi e gli altri, come nel corso dei secoli tante volte è avvenuto con le varie forme di eresie che si sono infiltrate nella Chiesa, sconvolgendone il sano insegnamento trasmesso da Cristo. Punto unico e sicuro di riferimento per ogni discepolo è semplicemente ed esclusivamente Gesù ed il suo Vangelo, autenticamente trasmesso dalla Chiesa senza adulterazioni e cambiamenti nel corso dei secoli. La parabola conclude con una raccomandazione rivolta ai discepoli di curare in maniera accurata la loro personale preparazione in modo da essere simili al maestro. Si capisce che questa somiglianza va riferita non soltanto alla dottrina, ma soprattutto alla vita, perché chiaramente Gesù stesso ha ripetuto ai discepoli: “Come sono io, siate anche voi!”.

La seconda parabola ci presenta l’esempio di un tale che ha una trave nel suo occhio e pretende di togliere una pagliuzza che si trova nell’occhio del fratello. E’ la pretesa di tanti falsi maestri di trovarsi sempre nella ragione, per cui non fanno altro che stare ad osservare i loro fratelli con spirito assai critico di superiorità, pretendendo di trovare sempre qualcosa da ridire nei confronti degli altri. Sono incapaci di guardare con verità se stessi, ma non sfugge loro tutto quello che può essere o apparire di sbagliato negli altri, pronti a giudicare e condannare. Non c’è umiltà nel loro cuore, né tanto meno senso di misericordia, per cui non sono in grado di avvicinarsi al fratello con quella delicatezza e quel rispetto che potrebbero far accettare la loro osservazione. Ecco perché Gesù bolla questa categoria di persone come “ipocriti”, invitandoli a cominciare a guardare bene verso se stessi e così essere in grado di vedere e di togliere la trave dal loro occhio.

La serie delle mini parabole si chiude con quella dell’albero, che per sua natura è portato a produrre frutti. Ogni albero porta il suo frutto, a seconda del suo tipo e delle sue qualità. Per cui un albero buono produce frutti buoni, mentre un albero cattivo produce frutti cattivi. Certo può accadere che un albero possa guastarsi ed allora i suoi frutti non saranno più buoni, come ci si aspetta da quell’albero. Ed occorrerà procedere a curare quell’albero così che torni a portare frutti buoni. Potrebbe anche accadere che un ramo di fico o un tralcio della vite vadano a finire in mezzo alle spine. Ma anche in una situazione così difficile e dolorosa, il fico continuerà a dare dei buoni fichi e l’uva manterrà lo stesso sapore, anche se si dovrà faticare un poco per trarli integri dai rovi. Un atto di fiducia nei confronti dell’uomo buono, che riuscirà a produrre frutti buoni anche in mezzo alle prove ed alle difficoltà che sta per attraversare nella sua vita personale. La conclusione delle parabole è un atto di fiducia: l’uomo buono si farà conoscere dalle sue parole, che sono coerenti con la sua vita.
Giuseppe Licciardi (P. Pino)