«DIO HA TANTO AMATO IL MONDO DA DARE IL FIGLIO»
(2Cr 36,14-16.19-23; Sal 136; Ef 2,4-10; Gv 3,14-21)
Il tema portante della misericordia di Dio compare continuamente e sotto diverse forme, lungo tutte le pagine della Sacra Scrittura. La pagina del 2° libro delle Cronache, che ci viene presentata oggi nella liturgia, è una ennesima testimonianza di questa indefettibile misericordia di Dio, che, pur abbandonando a volte l’uomo in balia del proprio cuore ribelle e malvagio, non è capace di mantenere a lungo la sua ira, ma si lascia impietosire e perdona. L’inizio di questa pagina riporta l’amaro resoconto dell’indurimento del cuore del popolo di Dio, a cominciare dalle stesse guide, i sacerdoti, che insieme col popolo moltiplicano le loro iniquità. Invece di seguire la via indicata da Dio, seguono le abominazioni degli altri popoli. Nel desiderio di richiamare il suo popolo, Dio manda i suoi profeti. Due avverbi lasciano trapelare la compassione e la sofferenza di Dio: Egli manda i suoi messaggeri per ammonirli “premurosamente e incessantemente”. Il Signore ci prova sempre, non si vuole rassegnare a perdere i suoi figli. Ma come rispondono a questa premura del loro Dio?
La reazione è semplicemente impressionante, perché rivela il profondo rifiuto di questo popolo, pieno di ostinata rabbia contro Dio. Esso si comporta come se Dio fosse il suo peggiore nemico. Il testo, in maniera molto scarna, ci dice che “essi si beffarono dei messaggeri di Dio, disprezzarono le sue parole e schernirono i suoi profeti”. Non si rendono conto che il loro è un comportamento suicida. Infatti, le conseguenze di questo amoreggiamento con i popoli e gli dei stranieri non si fanno attendere. Il popolo diventa preda dei suoi nemici, che distruggono Gerusalemme ed il tempio, mentre mandano in esilio le famiglie più rappresentative dello stesso popolo. Il tempo dell’esilio vuole essere un tempo di ripensamento e di riflessione, vuole spingere il popolo a interrogarsi su quali sono le cose che veramente contano per esso. Man mano che il tempo dell’esilio si protrae, il popolo scopre che ha nostalgia del tempio di Dio, di Gerusalemme e per conseguenza del suo Dio, che da sempre lo ha amato e continua ad amarlo. L’ira di Dio dura un momento, la sua misericordia per sempre.
Ed ecco che ancora una volta Dio, a cui tutti i popoli appartengono e nel cui nome viene esercitato il potere, suscita un re straniero, Ciro, che, come un servo di Dio, si interessa di questo popolo. Così gli viene incontro e non solo permette agli israeliti di tornare in patria, ma li sostiene nel loro progetto di ricostruire il tempio e ritrovare la loro identità, di essere cioè il popolo di Dio. Straordinario davvero questo implacabile amore di Dio nei confronti di un popolo ribelle! Ancora di più se andiamo alla pagina del Vangelo di questa domenica, che racconta l’incontro clandestino di Gesù con un membro del Sinedrio, Nicodemo. Egli è affascinato da Gesù, dai suoi discorsi, dai segni che compie, perché è un uomo alla ricerca di Dio e del suo vero volere, e non da per scontato tutto quello che la tradizione gli ha insegnato. Nicodemo va a trovare Gesù di notte. Forse non si sente ancora in grado di schierarsi dalla sua parte. Ma è chiaro che non riesce a condividere né il pensiero né gli atteggiamenti ostili dei suoi colleghi, dei dottori della legge e dei capi del popolo che ce l’hanno con Gesù.
A quest’uomo onesto, dal cuore retto, Gesù svela il mistero insondabile dell’amore di Dio: “Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito”. Sì, il Dio dei padri non è un Dio di vendetta, ma di misericordia. Egli ha mandato il Figlio non per giudicare e condannare, ma per salvare il mondo. Nessuno è escluso da questo amore, ma solo chi si rifiuta di accettarlo. Gesù è venuto proprio per annunciare e far conoscere questo amore, che entra nel cuore di chiunque crede in lui ed accoglie la sua parola. Nicodemo va a Gesù di notte, quasi a indicare che è alla ricerca della luce che viene da Gesù. Le opere che egli compie rivelano che Gesù è un uomo che viene da Dio. A Nicodemo Gesù parla della vita nuova per mezzo dello Spirito che ci rigenera come figli di Dio e annuncia il suo innalzamento sulla croce, che diventa il segno dato ad ogni uomo per ottenere la salvezza. Il segno della morte che colpiva gli ebrei nel deserto, il serpente, diventa segno di liberazione da sicura morte per chiunque lo guardi con fede. Così il condannato alla croce, diventa colui che salva dalla condanna ogni uomo che crede in Lui.
C’è un giudizio, certamente, ma questo giudizio viene fatto dagli uomini stessi, che da soli si condannano, per il semplice fatto che odiano la luce ed amano le tenebre. Costoro chiamano le tenebre luce e verità la menzogna. Questo perverso modo di valutare le cose risponde alla logica del diavolo, il menzognero per eccellenza, il quale ama travestirsi in creatura di luce, per poter facilmente ingannare gli uomini che rinnegano Dio e pretendono di prendere il suo posto. Così la verità viene irrisa, la corruzione diventa sistema di vita, l’immoralità diventa comportamento lecito e i valori sono capovolti. È buono quello che mi piace, che mi fa comodo, che rende di più. Le norme morali vengono dichiarate superate e roba del passato. Chi parla di onestà, di fedeltà, di rispetto della vita, di senso del pudore, di valore della famiglia viene deriso e messo a tacere. Chi parla di Dio, di santità, di perdono e di verità viene preso per impostore e si deve quasi vergognare. Ha proprio ragione Gesù a dire che gli uomini hanno preferito le tenebre alla luce, perché le loro opere sono malvagie.
Giuseppe Licciardi (Padre Pino)