«FIGLIO, OGGI VA’ A LAVORARE NELLA VIGNA»
(Ez 18,25-28; Sal 24; Fil 2,1-11; Mt 21,28-32)
Sembra che non abbiamo perso ancora l’abitudine di voler suggerire a Dio come si deve comportare e cosa deve fare. L’antica tentazione, che il serpente ha seminato nel cuore dell’uomo, ha scavato radici profonde e si affaccia continuamente: l’uomo ci prova sempre a voler assumere la parte di Dio, a sostituirsi a Lui. Quante volte non ci troviamo a lamentarci con Dio perché se ne sta a guardare e non interviene in tante situazioni della nostra vita o della vita dei popoli, o viceversa, perché permette che avvengano certe cose. Si capisce che sappiamo sempre cosa è meglio che Lui faccia. Il profeta Ezechiele ci mostra la casa d’Israele che accusa Dio di non agire rettamente, perché secondo loro i malvagi non vengono puniti come meritano, mentre tanti giusti ed innocenti devono pagare per colpe che non hanno commesso. La risposta di Dio è molto chiara. Egli rivendica la giustizia del suo agire e soprattutto ci tiene a fare sapere che il malvagio paga le conseguenze della sua malvagità, mentre l’uomo retto gioirà davanti al Signore. Ma Dio afferma con forza che il suo scopo non è quello di stare a condannare e punire, perché Egli si aspetta che i suoi figli si ravvedano dalla loro via d’iniquità e siano salvati. Egli si lascia guidare dal suo amore e dalla sua misericordia, perciò indica sempre ai peccatori le sue vie di salvezza.
Chissà quale idea abbiamo di Dio! Eppure Gesù, che lo conosce bene, non cessa mai di chiamare suo Padre giusto, buono e santo. Egli nei suoi insegnamenti cerca di aiutarci a conoscere sempre meglio il Padre suo e Padre nostro. Anche nella parabola dei due figli ci da un grande insegnamento. Rileggendola con attenzione, possiamo scoprirvi tanti piccoli particolari che ci sono di grande aiuto. Anzitutto mi pare di sentire tutta la tenerezza del padre che si rivolge all’uno e all’altro chiamandoli semplicemente “figlio”. Non c’è alcuna ombra di atteggiamento autoritario, ma solo la richiesta affettuosa di una mano d’aiuto. Mi pare di scorgere il sorriso del Padre mentre si rivolge all’uno e all’altro dei figli. Essi sono diversi tra di loro e la loro reazione di fronte alla richiesta del Padre è anch’essa diversa. Il primo è più immediato, non si nasconde dietro scuse vaghe e false, per cui dice in faccia al Padre che non ha nessuna voglia di andare. Il secondo invece è uno che vuole apparire a tutti i costi bravo e buono, per cui dice di sì, senza pensarci. Ma Gesù va oltre con il suo racconto svelandoci come le posizioni si capovolgono, per cui il no diventa sì ed il sì no.
Cosa succede nell’animo dei due? Gesù si limita a dire semplicemente che il primo “si pentì ed andò”, mentre il secondo, contrariamente a quanto aveva affermato, “non andò”, non ci pensò nemmeno per un momento di andare nella vigna. Eppure davanti al padre, che con grande rispetto formale aveva chiamato “signore”, ha voluto fare la sua buona figura di figlio obbediente. La sua bocca dice parole belle, ma il suo cuore è lontano dal Padre. A lui non importa niente delle cose del Padre suo, perché ha la sua vita da vivere. Il primo figlio invece, dopo essersi allontanato dal Padre, ripensa alla risposta data al Padre e scopre che il suo atteggiamento non è retto. Egli forse ha guardato finora al Padre come a uno che da ordini e che esige di essere obbedito, e questo ha provocato in lui la reazione di rifiuto, di rigetto. Ad un tratto, comincia a valutare le cose da un altro punto di vista ed ecco che le vede in maniera diversa. Riscopre la profonda e sempre presente verità, che gli si era quasi nascosta, che lui è figlio e che il Padre non gli aveva detto “vai nella mia vigna”, ma “va’ nella vigna”. Quella vigna quindi è anche la sua vigna, appartiene anche a lui.
Fino a quel momento si era limitato a goderne dei buoni frutti, a gustare l’uva dolce, matura e succosa, a rallegrarsi di un buon bicchiere di vino che fa gioire il cuore. Non si era posto alcun problema. Sembrava che tutto fosse normale e gli era dovuto. Aveva goduto i vantaggi della vigna, ma non se ne era mai interessato. Adesso comincia a sentirla come sua e sperimenta l’indescrivibile sensazione di essere comproprietario e quindi di sentirsi fortemente interessato alla sua coltivazione, alla sua cura. Al fastidio di sentirsi chiedere di andare a lavorare nella vigna subentra ora la gioia di chi sta scoprendo la bellezza ed anche la soddisfazione di sentirsi responsabile di questa vigna. Adesso non guarda più alla fatica che può costare, ma piuttosto alla gratitudine verso il Padre che lo chiama ad essere suo collaboratore, partecipe della sua opera. Questo cambiamento di mentalità, ha portato ad un radicale cambiamento di vita. Del secondo figlio non ci viene detto più niente. Sembra che egli sia soddisfatto di apparire osservante delle regole, di farsi vedere retto e giusto, e di pensare magari di esserlo veramente.
Una delle cose che Gesù non ha mai potuto soffrire e contro cui si è sempre scagliato con molta durezza è l’ipocrisia e la presunzione di sentirsi giusti e perfetti, permettendosi perfino di poter giudicare gli altri come indegni di stare alla presenza di Dio. Ecco perché nella parabola Gesù apertamente fa capire che bisogna stare attenti non solo alle parole ma alle opere, perché sono quelle che dimostrano la verità. Tu non sei buono perché sei capace di dire cose buone e giuste, ma solamente se sei capace di fare opere buone e giuste. Dio non si contenta delle parole, ma vuole i fatti. Non serve che tu conosca a memoria la Parola di Dio, ma serve che tu la metta in pratica. A Dio non importa sei fai parte di un qualche movimento ecclesiale, o se sei un religioso o religiosa, o un sacerdote, ma importa, e come, che tu viva con coerenza questa appartenenza. Se tu parli di carità e stai a malignare il tuo prossimo e mantieni rancore nel tuo cuore, e fai finta di non vedere il bisogno di un tuo fratello o la sua sofferenza, questo non ti salva. Ecco perché Gesù conclude con una frase di estrema provocazione. “I pubblicani e le prostitute vi precederanno nel Regno di Dio”.
Giuseppe Licciardi (Padre Pino)