Si sono svolti lo scorso 10 Maggio a Roma, nell’auditorium del Dipartimento di Comunicazione e Ricerca Sociale dell’Università La Sapienza, i lavori dell’Autoconvocazione del volontariato italiano. Presenti circa 300 volontari, che hanno ragionato sul ruolo dei volontari nell’ottica delle riforma del Terzo Settore.
Siamo gente normale, “io sono madre, lavoratrice e volontaria”, ha introdotto la testimonianza di Maria, da Cosenza, e siamo stanchi di essere considerati “angeli”, quando c’è una catastrofe e problemi da risolvere, ma poi non essere ascoltati quando si definiscono le politiche pubbliche. E sulla base di questa “stanchezza” che il mondo del Volontariato risulta preoccupato per la piega che sta prendendo il Disegno di Legge delega sulla Riforma del Terzo settore approvato alla Camera il 9 aprile e ora approdato al Senato. C’è l’esigenza che non si confonda il volontariato organizzato con quello individuale o presente in altri organismi del Terzo Settore. Insieme si può fare un tratto di strada purché le distinzioni siano chiare e precise. La gratuità, come ci ricorda la Carta dei valori del volontariato, è l’elemento distintivo dell’agire volontario e lo rende originale rispetto ad altre componenti del Terzo Settore e ad altre forme di impegno civile. Non è solo assenza di guadagno economico, ma è libertà da ogni forma di potere, rinuncia ai vantaggi diretti e indiretti, testimonianza credibile di libertà rispetto alle logiche dell’individualismo, dell’utilitarismo economico e rifiuto dei modelli di società centrati esclusivamente sull’avere e sul consumismo. Infine due questioni politiche: che siano riconosciute e iscritte ai registri nazionali non solo le reti di secondo livello ma tutte le reti di reti; e che sia riconosciuto il diritto del volontariato organizzato a contribuire attivamente alla definizione delle politiche pubbliche in applicazione del principio di sussidiarietà, sia a livello nazionale che locale. E’ evidente che oggi il sociale è un investimento in qualcuno che potrà contribuire al sistema produttivo, non è assolutamente tutela di diritti delle persone fragili. Ed è soprattutto di queste persone che il volontariato si occupa.
Dal Forum del Terzo settore risulta una posizione più articolata poichè, pur riconoscendo la dimensione ‘profetica’ del volontariato, il concetto di gratuità non deve essere confuso con quello di “prezzo zero” perché ciò porrebbe la gratuità fuori del principio economico. La gratuità è semmai una dimensione della vita, è il rapporto con noi stessi, con gli altri, con la natura, considerati mai come mezzo ma sempre come fine. Questa gratuità quindi deve trovare e anzi trova spazio dentro il valore economico. Quindi, partendo dalla considerazione che l’azione volontaria, soprattutto all’interno di reti organizzate, genera forme di capitale sociale che non solo produce coesione, ma innova e garantisce il modo di operare sia del Terzo Settore nel suo complesso sia del settore pubblico che di quello privato for-profit, possono essere avanzate delle proposte, come l’incremento dei fondi per le politiche sociali (non autosufficienza, infanzia, ecc.), che hanno subito in questi anni tagli continui; l’ attivazione di strumenti partecipativi, che consentano di valorizzare i saperi delle organizzazioni sociali; la valorizzazione del volontariato come scuola di democrazia, partecipazione e cittadinanza attiva; il riconoscimento delle reti regionali e nazionali del volontariato; Tali proposte pongono concretamente la solidarietà al centro della vita sociale, economica e politica dell’Europa e dei paesi a forte industrializzazione e la traducono in politiche e pratiche diffuse di redistribuzione delle opportunità e della ricchezza, così da consentire per ogni persona il pieno sviluppo umano e l’effettiva partecipazione alla vita della comunità.
L’auspicio finale è che si possano trovare percorsi comuni di condivisione che riattivino il mondo del volontariato.
L’autoconvocazione del volontariato – promossa da Forum terzo settore, Centro nazionale volontariato, ConVol, Caritas, CSVnet e Consulta del volontariato presso il Forum – è solo all’inizio. Dopo il Festival del volontariato e l’appuntamento romano seguiranno altre due tappe. Una a Lucca, a settembre. L’altra di nuovo nella capitale in occasione della giornata internazionale del volontariato, il 5 dicembre.
Volontariato, i giovani disertano l’autoconvocazione. La posizione del sociologo Mauro Magatti.
ROMA. “Quanti under trenta ci sono in questa sala?”. Nell’auditorium del dipartimento di comunicazione e ricerca sociale dell’Università La Sapienza di Roma hanno alzato la mano solo in tre. Ma su quelle poltroncine rosse e tutt’attorno c’erano circa trecento persone. Trecento. In un sabato mattina, nel giorno dell’autoconvocazione del volontariato, solo l’1% dei giovani ha risposto all’appello.
La domanda, provocatoria e quasi scontata, è stata posta dal sociologo Mauro Magatti. Secondo lui il volontariato “non è la ruota di scorta” di nessuno. Se non è innovativo, per Magatti il volontariato “non serve proprio a niente ed è costretto a fare il tappabuchi”. E così ci si interroga anche sul perché i giovani siano assenti in un momento come questo. “Ai ragazzi e alle ragazze dobbiamo dire che il volontariato ha un ruolo di avanguardia”, chiosa il sociologo. Come se bastasse.
Perché per coinvolgere i giovani non bastano le parole. Servono i fatti. I giovani vogliono sentirsi parte attiva di un processo. Vogliono fare e disfare, mettere in gioco la propria creatività, trasformare la loro energia e le loro idee in qualcosa di grande. Anzi, di grandissimo.
Eppure capita sempre più spesso che siano chiamati a scontrarsi in contesti ben poco attraenti. Convegni, seminari e – perché no? – pure le autoconvocazioni. Gli facciamo sorbire riflessioni verticali, orizzontali, oblique. Se in sala non ci sono, scattano i lamenti. Ma quando in sala i giovani ci sono, ecco che vengono relegati al ruolo di spettatori. Perché le faccende del terzo settore sono “cose da grandi”. E se legittimamente fanno chiasso perché annoiati e fuori contesto, be’, magari si ha anche la pretesa di fare “Shh!” nel microfono per zittirli.
Prima di giudicare, forse è bene che il terzo settore si guardi allo specchio e faccia autocritica. Perché in realtà i giovani – una categoria ormai trattata come fosse una specie in via d’estinzione – ci sono. Anche nel volontariato. E sono attivi, operativi, vivi.
E’ possibile che agli auditorium in cui si parla di riforma del terzo settore preferiscano l’operatività e l’attivismo. Preferiscono fare anziché parlare. E forse sarebbero anche disposti a dirigere. Certo, dovremmo concederglielo. Visto che buona parte delle associazioni hanno presidenti e direttivi composti da persone anziane che in certi casi ricoprono quei ruoli da decenni. Ininterrottamente. Non sono solo idee buttate li. E’ scritto nero su bianco nelle ultime ricerche.
Sì, esiste il servizio civile. E lì i giovani si presentano in massa. Per un posto disponibile vengono presentate una decina di domande. Se il volontariato non riesce a intercettare questo desiderio – che poi è anche sinonimo di “bisogno” – significa che qualcosa non va. Cambiamo linguaggio, cambiamo metodo. Ma soprattutto proviamo a mettere in gioco un po’ di altruistica umiltà. Insomma, lasciamogli spazio.