Nessuno di noi è un’isola
La storia del volontariato dimostra come, in contro tendenza con un mondo disgregante e diseguale – basti pensare che l’1% della popolazione mondiale possiede più ricchezza del restante 99% – uno degli aspetti della natura umana sia l’attitudine a rivolgere lo sguardo verso l’altro, a entrare in rapporto empatico per aprirsi a un insieme di relazioni più largo. Nessuno di noi è un’isola. In tutti i campi della vita, l’interdipendenza, non solo è utile, ma è una necessità profonda dell’individuo. Diverse generazioni hanno trovato nel volontariato l’opportunità di esprimersi, incontrarsi e
vivere in modo significativo la propria esistenza, riscoprendo e rinnovando il senso del proprio stare
nel mondo impegnandosi in un progetto sociale o culturale.
Il volontariato autentico non può che essere una strada a doppio senso. Si dà e si riceve molto. Sappiamo per esperienza che il dono non pone su un piano di parità chi offre e chi riceve.
Il dono che il volontario fa non è un oggetto materiale, ma è se stesso, il suo tempo, la sua dedizione ossia qualità etiche e personali.
E’ un percorso dal dentro al fuori, dal particolare all’universale, nel quale l’azione volontaria, il saper fare “qui ed ora”, non perdono di vista che dietro il bisogno percepito nell’altro c’è spesso la sostanza di un diritto negato.
La capacità di ascoltare e sapersi trasformare per andare incontro alle questioni emergenti, soprattutto quelle che sono meno presenti nella coscienza pubblica, nei servizi, nella normativa e nella destinazione delle risorse. Pensiamo, ad esempio, alla diffusione del problema della povertà e ai tanti progetti in collaborazione con il Banco Alimentare o ideati dai nostri circoli per raccogliere e consegnare cibo o pasti caldi a domicilio in coordinamento con i servizi sociali. Oppure i progetti dedicati ai migranti e ai rifugiati, con un fiorire di corsi di insegnamento della lingua italiana e agli spazi polifunzionali nei quali si favoriscono il mutuo aiuto e momenti di incontro e di svago tra i migranti e la popolazione locale.
Un altro elemento caratterizzante del “saper fare” nel volontariato è la complessità del progetti che prevedono vari livelli di intervento raccordati tra di loro; accade che i volontari avvertano l’urgenza di elevare le proprie competenze professionali in base alla problematicità delle
richieste sociali. La mancanza di qualifiche o certificazioni può diventare un limite e rendere
impossibile realizzare una buona idea. Per continuare a crescere e operare per il benessere delle persone le organizzazioni di volontariato devono alimentare un’etica della formazione continua, che permetta ai volontari di sentirsi motivati, maturare come persone e appropriarsi degli strumenti necessari per comprendere la realtà, rimettere in discussione pratiche consolidate e avviare processi di cambiamento.
Al volontario non sono sufficienti l’intenzione altruistica, la dedizione, il disinteresse. A queste qualità vanno aggiunte l’informazione sul proprio territorio, la padronanza delle metodologie e delle tecnologie, l’apertura culturale …
Fonte: Viaggio nell’Italia della solidarietà (Auser)