La scuola del XXI secolo per una “democrazia del merito”
Giuseppe Tognon, La democrazia del merito, Salerno, Roma 2016
«Una democrazia del merito non è il sistema per selezionare e premiare il merito di qualcuno, ma piuttosto quello in cui tutti meritano, sia pure in misura diversa, se esercitano il loro dovere di vivere, nel tempo e nella società che li ospita». È forse in questa affermazione, all’inizio del sesto e ultimo capitolo, il cuore della riflessione che Giuseppe Tognon, storico dell’educazione, consegna a un denso e vivace saggio appena uscito per i tipi di Salerno.
Non si tratta di una riflessione volta semplicemente a demistificare le retoriche del merito che soffiano con particolare virulenza anche sui luoghi dell’istruzione, dell’educazione e dell’accompagnamento alla vita adulta, di cui pure vengono denunciati gli esiti ponendo l’accento su una equazione fra merito e successo che «asfissia la democrazia, mortifica la diversità umana e, soprattutto, fa apparire l’ingiustizia e l’ineguaglianza qualche cosa di accidentale […] e non […] la conseguenza di scelte e di comportamenti consapevoli».
La tesi di fondo è che, al contrario di quanto spesso si pensi, pur prendendo forma dall’incrocio fra modelli sociali affermati e istituzioni che ne garantiscono fondatezza e valutabilità, ciò che chiamiamo merito affonda le sue radici a monte della dimensione politica, giuridica e sociale. Corollario di questa impostazione è il riconoscimento di un «credito civile» che non può essere negato e che rende la vita di ciascuno di noi degna di essere vissuta e generativa per sé e per gli altri.
La meritocrazia è per l’autore una «tentazione sociale», non una medicina per la democrazia che esige invece difensori in grado di sostenere senza complessi di inferiorità che la democrazia è «antimeritocratica per principio, dunque meritocratica per scelta, dove occorre, quando è opportuno e se il rischio è sopportabile».
Al mondo della scuola tocca fare i conti con una sfida epocale: «la nostra scuola e le università sono più indietro della società in cui viviamo, che ha sviluppato forme di conoscenza e di relazione che poco hanno a che fare con il curriculum scolastico e molto con un sistema economico e tecnologico che alimenta l’illusione che tutto possa essere ottenuto studiando solo ciò che serve» e dà prestigio.
Prendere sul serio quel che già si muove nelle scuole in direzione di un legame più vero e vitale fra educazione e democrazia richiede la disponibilità a chiedersi «se la nostra democrazia economica e sociale non imponga agli esseri umani doveri impossibili, che rinnegano la loro umanità e che li costringono a sentirsi sempre, se non addirittura a priori, inadeguati»: «Troppo spesso […] si fa finta di non vedere che proprio il sapere è usato da chi lo possiede per separare i viventi che “non devono morire” e di cui ci si preoccupa, da quei viventi di cui non ci si fa carico e che vivono “come se fossero già morti”». Una lettura spiazzante che offre molte provocazioni adatte a far discutere su quale idea di merito possa circolare in un sistema educativo in grado di prendersi cura della democrazia del XXI secolo.