(Mirella Arcamone) Il disegno di legge sulla scuola in discussione al Parlamento va cambiato in modo radicale. Lo chiedono con forza praticamente tutti i soggetti ascoltati dalle commissioni cultura riunite del Parlamento, lo chiedono i firmatari dell’Appello tra cui Msac e Mieac. Il Governo e il Parlamento devono fare un coraggioso passo indietro e ascoltare il dissenso vasto e molteplice che si è sollevato.
Innanzitutto il metodo. Per costruire insieme la riforma della scuola con una procedura davvero democratica bisogna scorporare l’assunzione dei precari dal resto dei provvedimenti. Apprezzabile la previsione di regolarizzazione di centomila precari, da evidenziare, però, la riduzione di un terzo rispetto a quanto annunciato. Necessario fare chiarezza in modo condiviso con le parti sindacali sugli aspetti ancora oscuri (TFA, concorso 2012, Graduatorie…) che mantengono nell’incertezza tuttora tanti lavoratori.
Poi, le risorse. Maggiori investimenti nella scuola pubblica sono una positiva inversione di tendenza, che va ampliata, proiettata in un piano pluriennale, finalizzato a innalzare i livelli di istruzione di tutto il Paese. Potenziare l’autonomia scolastica significa proprio voler ridurre le diseguaglianze che frenano il diritto al successo formativo di ogni studente e la crescita di qualità dell’intero sistema. Per questo l’organico dell’autonomia deve essere destinato non tanto alle supplenze, ma alle strategie per combattere la dispersione scolastica e a promuovere il successo scolastico di tutti, rendendo aperta, flessibile e personalizzata la didattica. Per far questo necessitano ingenti investimenti pubblici e una rigida regolamentazione di eventuali risorse private, volte comunque all’intero sistema, e non alle singole istituzioni scolastiche.
L’autonomia, cuore del DDL, deve essere strumento di democratizzazione e corresponsabilità della e nella scuola: tramite il decentramento dei livelli decisionali e attivando una reale partecipazione delle componenti, la scuola deve diventare una comunità che si auto-governa in modo cooperativo, attraverso gli organi collegiali, dove tutti sono soggetti attivi del processo educativo e delle scelte chiave. Inaccettabili quindi le prerogative del dirigente scolastico (reclutatore-valutatore-accentratore) che vanno dalla valutazione alla premialità e persino alla chiamata diretta dei docenti, pescati con contratto triennale da un apposito albo regionale.
Al contrario, è necessario garantire la libertà di insegnamento dei docenti, l’indipendenza da quello che sembra un potere autocratico e dalla necessità di compiacere ora al dirigente, ora ai finanziatori esterni. Se è apprezzabile, poi, il ripensamento sull’abolizione degli scatti stipendiali, lasciano dubbi le scarse risorse, l’aumento unilaterale e non retribuito del carico di lavoro e la gerarchizzazione che si tende a costruire, per altro accentuando la competizione. Bisogna avere il coraggio di ripensarne per intero, in modo condiviso, la figura professionale, costruendone un profilo rinnovato, la sua formazione, i modi di accesso alla professione; la valutazione e la formazione e aggiornamento in servizio, avvicinando gradualmente la retribuzione alle medie europee e valorizzando la dimensione cooperativa dell’insegnamento.
Anche per questo è un errore lasciare così ampie Deleghe al Governo su temi cruciali per il miglioramento della scuola italiana, che non possono essere affrontati senza un serio dibattito parlamentare. Tempi adeguati all’ascolto e al confronto sono la condizione per correggere radicalmente il testo di ingresso e creare il necessario clima di condivisone per avviare nel minor tempo possibile i primi interventi di cambiamento, questa volta, ampiamente condivisi.