Denaro, povertà, futuro.
Papa Francesco ai partecipanti all’incontro “Economia di Comunione”
Sabato, 4 febbraio 2017
Molte volte ho parlato del denaro come idolo. La Bibbia ce lo dice in diversi modi. Non a caso la prima azione pubblica di Gesù, nel Vangelo di Giovanni, è la cacciata dei mercanti dal tempio (cfr 2,13-21). Non si può comprendere il nuovo Regno portato da Gesù se non ci si libera dagli idoli, di cui uno dei più potenti è il denaro. Come dunque poter essere dei mercanti che Gesù non scaccia? Il denaro è importante, soprattutto quando non c’è e da esso dipende il cibo, la scuola, il futuro dei figli. Ma diventa idolo quando diventa il fine. L’avarizia, che non a caso è un vizio capitale, è peccato di idolatria perché l’accumulo di denaro per sé diventa il fine del proprio agire. E’ stato Gesù, proprio Lui, a dare categoria di “signore” al denaro: “Nessuno può servire due signori, due padroni”. Sono due: Dio o il denaro, l’anti-Dio, l’idolo. Questo l’ha detto Gesù. Allo stesso livello di opzione…
Quando il capitalismo fa della ricerca del profitto l’unico suo scopo, rischia di diventare una struttura idolatrica, una forma di culto. La “dea fortuna” è sempre più la nuova divinità di una certa finanza e di tutto quel sistema dell’azzardo che sta distruggendo milioni di famiglie del mondo, e che voi giustamente contrastate. Questo culto idolatrico è un surrogato della vita eterna. I singoli prodotti (le auto, i telefoni…) invecchiano e si consumano, ma se ho il denaro o il credito posso acquistarne immediatamente altri, illudendomi di vincere la morte.
Si capisce, allora, il valore etico e spirituale della vostra scelta di mettere i profitti in comune. Il modo migliore e più concreto per non fare del denaro un idolo è condividerlo, condividerlo con altri, soprattutto con i poveri, o per far studiare e lavorare i giovani, vincendo la tentazione idolatrica con la comunione. Quando condividete e donate i vostri profitti, state facendo un atto di alta spiritualità, dicendo con i fatti al denaro: tu non sei Dio, tu non sei signore, tu non sei padrone! E non dimenticare anche quell’altra filosofia e quell’altra teologia che faceva dire alle nostre nonne: “Il diavolo entra dalle tasche”. Non dimenticare questo!
POVERTA’
Oggi si attuano molteplici iniziative, pubbliche e private, per combattere la povertà. E tutto ciò, da una parte, è una crescita in umanità. Nella Bibbia i poveri, gli orfani, le vedove, gli “scarti” della società di quei tempi, erano aiutati con la decima e la spigolatura del grano. Ma la gran parte del popolo restava povero, quegli aiuti non erano sufficienti a sfamare e a curare tutti. Gli “scarti” della società restavano molti. Oggi abbiamo inventato altri modi per curare, sfamare, istruire i poveri, e alcuni dei semi della Bibbia sono fioriti in istituzioni più efficaci di quelle antiche. La ragione delle tasse sta anche in questa solidarietà, che viene negata dall’evasione ed elusione fiscale, che, prima di essere atti illegali sono atti che negano la legge basilare della vita: il reciproco soccorso.
Ma – e questo non lo si dirà mai abbastanza – il capitalismo continua a produrre gli scarti che poi vorrebbe curare. Il principale problema etico di questo capitalismo è la creazione di scarti per poi cercare di nasconderli o curarli per non farli più vedere. Una grave forma di povertà di una civiltà è non riuscire a vedere più i suoi poveri, che prima vengono scartati e poi nascosti.
Gli aerei inquinano l’atmosfera, ma con una piccola parte dei soldi del biglietto pianteranno alberi, per compensare parte del danno creato. Le società dell’azzardo finanziano campagne per curare i giocatori patologici che esse creano. E il giorno in cui le imprese di armi finanzieranno ospedali per curare i bambini mutilati dalle loro bombe, il sistema avrà raggiunto il suo culmine. Questa è l’ipocrisia!
L’economia di comunione, se vuole essere fedele al suo carisma, non deve soltanto curare le vittime, ma costruire un sistema dove le vittime siano sempre di meno, dove possibilmente esse non ci siano più. Finché l’economia produrrà ancora una vittima e ci sarà una sola persona scartata, la comunione non è ancora realizzata, la festa della fraternità universale non è piena.
Bisogna allora puntare a cambiare le regole del gioco del sistema economico-sociale. Imitare il buon samaritano del Vangelo non è sufficiente. Certo, quando l’imprenditore o una qualsiasi persona si imbatte in una vittima, è chiamato a prendersene cura, e magari, come il buon samaritano, associare anche il mercato (l’albergatore) alla sua azione di fraternità. So che voi cercate di farlo da 25 anni. Ma occorre agire soprattutto prima che l’uomo si imbatta nei briganti, combattendo le strutture di peccato che producono briganti e vittime. Un imprenditore che è solo buon samaritano fa metà del suo dovere: cura le vittime di oggi, ma non riduce quelle di domani. Per la comunione occorre imitare il Padre misericordioso della parabola del figlio prodigo e attendere a casa i figli, i lavoratori e collaboratori che hanno sbagliato, e lì abbracciarli e fare festa con e per loro – e non farsi bloccare dalla meritocrazia invocata dal figlio maggiore e da tanti, che in nome del merito negano la misericordia. Un imprenditore di comunione è chiamato a fare di tutto perché anche quelli che sbagliano e lasciano la sua casa, possano sperare in un lavoro e in un reddito dignitoso, e non ritrovarsi a mangiare con i porci. Nessun figlio, nessun uomo, neanche il più ribelle, merita le ghiande.
FUTURO
Non occorre essere in molti per cambiare la nostra vita: basta che il sale e il lievito non si snaturino. Il grande lavoro da svolgere è cercare di non perdere il “principio attivo” che li anima: il sale non fa il suo mestiere crescendo in quantità, anzi, troppo sale rende la pasta salata, ma salvando la sua “anima”, cioè la sua qualità. Tutte le volte che le persone, i popoli e persino la Chiesa hanno pensato di salvare il mondo crescendo nei numeri, hanno prodotto strutture di potere, dimenticando i poveri. Salviamo la nostra economia, restando semplicemente sale e lievito: un lavoro difficile, perché tutto decade con il passare del tempo. Come fare per non perdere il principio attivo, l’ “enzima” della comunione?
Quando non c’erano i frigoriferi, per conservare il lievito madre del pane si donava alla vicina un po’ della propria pasta lievitata, e quando dovevano fare di nuovo il pane ricevevano un pugno di pasta lievitata da quella donna o da un’altra che lo aveva ricevuto a sua volta. È la reciprocità. La comunione non è solo divisione ma anche moltiplicazione dei beni, creazione di nuovo pane, di nuovi beni, di nuovo Bene con la maiuscola. Il principio vivo del Vangelo resta attivo solo se lo doniamo, perché è amore, e l’amore è attivo quando amiamo, non quando scriviamo romanzi o quando guardiamo telenovele. Se invece lo teniamo gelosamente tutto e solo per noi, ammuffisce e muore. E il Vangelo può ammuffirsi. L’economia di comunione avrà futuro se la donerete a tutti e non resterà solo dentro la vostra “casa”. Donatela a tutti, e prima ai poveri e ai giovani, che sono quelli che più ne hanno bisogno e sanno far fruttificare il dono ricevuto! Per avere vita in abbondanza occorre imparare a donare: non solo i profitti delle imprese, ma voi stessi. Il primo dono dell’imprenditore è la propria persona: il vostro denaro, seppure importante, è troppo poco. Il denaro non salva se non è accompagnato dal dono della persona. L’economia di oggi, i poveri, i giovani hanno bisogno prima di tutto della vostra anima, della vostra fraternità rispettosa e umile, della vostra voglia di vivere e solo dopo del vostro denaro.
Il capitalismo conosce la filantropia, non la comunione. È semplice donare una parte dei profitti, senza abbracciare e toccare le persone che ricevono quelle “briciole”. Invece, anche solo cinque pani e due pesci possono sfamare le folle se sono la condivisione di tutta la nostra vita. Nella logica del Vangelo, se non si dona tutto non si dona mai abbastanza.