Creare una nuova economia per il bene comune
Papa Francesco: «Non c’è dubbio che il nostro mondo abbia urgente bisogno di «una economia diversa, quella che fa vivere e non uccide, include e non esclude, umanizza e non disumanizza, si prende cura del creato e non lo depreda» [1]. Nel proseguire la riflessione su una nuova economia, ma soprattutto nel cominciare a metterla in pratica, si tratta di tenere presente che l’attività economica «deve avere come soggetti tutti gli uomini e tutti i popoli. Tutti hanno il diritto di partecipare alla vita economica e il dovere di contribuire, secondo le proprie capacità, al progresso del proprio Paese e dell’intera famiglia umana […]: è dovere di solidarietà e di giustizia, ma è anche la via migliore per far progredire l’intera umanità». [2]
Pertanto, qualsiasi “nuova economia per il bene comune” dev’essere inclusiva. Troppo spesso lo slogan “non lasciare indietro nessuno” viene pronunciato senza alcuna intenzione di offrire il sacrificio e lo sforzo per trasformare veramente queste parole in realtà. Nella sua Enciclica Populorum progressio, San Paolo VI scriveva: «Lo sviluppo non si riduce alla semplice crescita economica. Per essere autentico sviluppo, dev’essere integrale, il che vuol dire volto alla promozione di ogni uomo e di tutto l’uomo» (n. 14). Nel compimento della vostra professione, voi, dirigenti d’azienda e imprenditori, siete chiamati a fungere da lievito per garantire che lo sviluppo raggiunga tutte le persone, ma soprattutto quelle più emarginate, più bisognose, affinché l’economia possa contribuire sempre a una crescita umana integrale. A questo proposito, non dimentichiamo l’importante contributo offerto dal settore informale durante la pandemia da COVID-19 ancora in corso. Durante il lockdown per la maggior parte della società, i lavoratori informali hanno assicurato la fornitura e la consegna dei beni necessari per la vita quotidiana e la cura dei nostri cari più fragili, e hanno mantenuto le attività economiche di base, nonostante l’interruzione di molte attività formali.
In effetti, «siamo chiamati a dare priorità alla nostra risposta ai lavoratori che si trovano ai margini del mercato del lavoro, […] i lavoratori poco qualificati, i lavoratori a giornata, quelli del settore informale, i lavoratori migranti e rifugiati, quanti svolgono quello che si è soliti denominare “il lavoro delle tre dimensioni”: pericoloso, sporco e degradante, e l’elenco potrebbe andare avanti». [3]
Accantoniamo anche l’idea che l’inclusione dei poveri e degli emarginati possa essere soddisfatta dai nostri sforzi per fornire assistenza finanziaria e materiale. Come è scritto nella Laudato si’, «aiutare i poveri con il denaro dev’essere sempre un rimedio provvisorio per fare fronte alle emergenze. Il vero obiettivo dovrebbe essere di consentire loro una vita degna mediante il lavoro» (n. 128). Difatti, la porta alla dignità di un uomo è il lavoro. Non basta portare il pane a casa, è necessario guadagnare il pane che io porto a casa.
Il lavoro dev’essere inteso e rispettato come un processo che va ben oltre lo scambio commerciale tra datore di lavoro e dipendente. Innanzitutto e soprattutto «parte del senso della vita su questa terra, via di maturazione, di sviluppo umano e di realizzazione personale» ( ibid.). Il lavoro «è un’espressione del nostro essere creati a immagine e somiglianza di Dio, il lavoratore (cfr Gen 2,3). […] Siamo chiamati al lavoro fin dalla nostra creazione», [4]imitando Dio che è il primo lavoratore.
Tale lavoro dovrebbe essere ben integrato in una economia di cura. «La cura può essere intesa come prendersi cura delle persone e della natura, offrendo prodotti e servizi per la crescita del bene comune. Un’economia che ha cura del lavoro, creando opportunità di impiego che non sfruttano il lavoratore attraverso condizioni di lavoro degradanti e orari estenuanti». [5] Qui non ci riferiamo solo al lavoro legato all’assistenza. «La cura va oltre, deve essere una dimensione di ogni lavoro. Un lavoro che non si prende cura, che distrugge la creazione, che mette in pericolo la sopravvivenza delle generazioni future, non è rispettoso della dignità dei lavoratori e non si può considerare dignitoso. Al contrario, un lavoro che si prende cura contribuisce al ripristino della piena dignità umana, contribuirà ad assicurare un futuro sostenibile alle generazioni future. E in questa dimensione della cura rientrano, in primo luogo, i lavoratori». [6]
Per concludere, desidero condividere con voi la “buona notizia” che recentemente, nella città di Assisi, dove San Francesco e i primi frati abbracciarono la povertà e proposero una nuova economia radicale ai leader economici della loro epoca, mille giovani economisti e imprenditori hanno ragionato sulla creazione di una nuova economia e hanno scritto e firmato un Patto per riformare il sistema economico globale al fine di migliorare la vita di tutte le persone. Vorrei condividere con voi alcuni dei punti principali, per due motivi: primo, perché troppo spesso i giovani vengono esclusi; secondo, perché la creatività e il pensiero “nuovo” spesso vengono dai giovani; e noi, persone più avanti con gli anni, dobbiamo avere il coraggio di fermarci e ascoltarli. Come i giovani devono ascoltare gli anziani, noi tutti dobbiamo ascoltare i giovani. Per una nuova economia del bene comune, questi giovani hanno proposto una “economia del Vangelo”, che, tra le altre cose, comprende:
· un’economia di pace e non di guerra – pensiamo a quanto si spende nella fabbricazione delle armi;
· un’economia che si prende cura del creato e non lo depreda – pensiamo alle deforestazioni;
· un’economia a servizio della persona, della famiglia e della vita, rispettosa di ogni donna, uomo, bambino, anziano e soprattutto dei più fragili e vulnerabili;
· un’economia dove la cura sostituisce lo scarto e l’indifferenza;
· un’economia che non lascia indietro nessuno, per costruire una società in cui le pietre scartate dalla mentalità dominante diventano pietre angolari;
· un’economia che riconosce e tutela il lavoro dignitoso e sicuro per tutti;
· un’economia in cui la finanza sia amica e alleata dell’economia reale e del lavoro, e non contro di loro [7]– perché la finanza ha il pericolo di rendere “liquida” l’economia, anzi “gassosa”; e procedendo con questa liquidità e gassosità finisce come la catena di sant’Antonio!
Oggi, ci sono centinaia, migliaia, milioni e forse miliardi di giovani che lottano per accedere ai sistemi economici formali, o anche solo per avere accesso al loro primo lavoro retribuito dove mettere in pratica le conoscenze accademiche, le competenze acquisite, l’energia e l’entusiasmo. Vorrei incoraggiare voi, dirigenti d’azienda e imprenditori maturi e di successo, a considerare una nuova alleanza con i giovani che hanno creato e si sono impegnati in questo Patto. È vero che i giovani sempre ti portano dei problemi, ma hanno il fiuto di far vedere la vera strada. Per camminare con loro, insegnare loro e imparare da loro; e, insieme, dare forma a “una nuova economia per il bene comune”».