– di Mimmo Sinagra – Ho partecipato con gioia, sabato della scorsa settimana, nell’aula Paolo VI in Vaticano, all’udienza di Papa Francesco richiesta dai Medici Cattolici Italiani, in occasione del 70° anniversario della fondazione dell’Associazione. Un incontro festoso, non formale, preparato da una liturgia della parola pregnante, incentrata sul passo evangelico della guarigione del paralitico. Ho letto su qualche giornale la cronaca dell’evento, e qualche commento su Facebook, tutti incentrati sull’obiezione di coscienza riguardo a varie questioni morali, che il Papa avrebbe incoraggiato, interferendo su una prassi ormai consolidata di deriva verso aborto, eutanasia, manipolazione genetica. Molti “laicisti” si sono, a mio parere sorprendentemente, meravigliati che Papa Francesco, il papa che secondo Eugenio Scalfari “ha abolito il peccato”, non abbia definito l’aborto desiderabile, l’eutanasia gradevole o la manipolazione genetica auspicabile.
Per chi come me era presente, il suo discorso non è affatto apparso moralista o a senso unico. É stato, pur nella sua brevità, articolato invece in una pluralità di stimoli e di riflessioni, che, per carità, hanno anche compreso le esortazioni sulle questioni suddette, ma nell’ambito della sempre presente sollecitudine per l’uomo e per la donna “concreti”, tipica del suo pontificato.
Il suo è stato anzitutto un “severo” appello alla coscienza del medico, prima che del cattolico; dello scienziato, prima che del credente: medico, scienziato di coscienza cui preme la vita, nella sua “sacralità” religiosa e laica; vita da “curare” non in quanto aderenti ad una fede, ma in quanto uomini: vita da non “liquidare” con superficialità quanto al giudizio di qualità, sempre molto difficile se appena si entra a riflettere sul valore e sul significato di ogni singola persona malata. Ben lo sa qualunque medico si accosti ad una persona sofferente: se appena ascolta, individua nel suo dolore, al di là di tutto, un qualcosa di misterioso, se non di trascendente, che richiede comunque la sua partecipe attenzione. Il Papa in questo ha “laicizzato” l’approccio del medico al malato, piuttosto che “clericalizzarlo”.
Rivolgendosi a medici cristiani, ha naturalmente richiamato anche la dignità dell’uomo in quanto “creatura”, esortando dunque alla collaborazione, e non alla sostituzione, con Dio creatore. “Peccato contro Dio creatore” ha definito l’aborto, l’eutanasia e le procedure di sperimentazione, genetica e non, volte a manipolare la vita individuale e collettiva ai propri fini e non per la persona. E se sostituiamo “peccato contro Dio creatore” con “peccato contro la dignità dell’uomo” dovremmo tutti ripensare se il ricorso frequente e superficiale alle pratiche suddette non sia veramente una china pericolosa che anestetizza le coscienze e allontana dalla ricerca di soluzioni alternative ai problemi.
Conviene a tutti, credenti e non, avere dei richiami etici condivisi, ritenere bene il bene e male il male; la “questione morale” non deve riguardare, per tutti, alcuni e non altri aspetti della vita personale e sociale: “non uccidere è non uccidere per tutti”, ha detto il Papa, ed è un male, come rubare o violentare. E le motivazioni del medico, in tale ambito, non sono religiose, ideologiche, filosofiche: sono “scientifiche”.
Altro è riconoscere il peccato, altra è la misericordia di Dio e degli uomini per la persona che sbaglia, il perdono per il peccatore, l’accoglienza per l’errante, la condivisione della fragilità, il rispetto per le altrui convinzioni. E su questo Papa Francesco ci è stato e ci è maestro.
È innegabile in questa dinamica, e questa è una mia parentesi, che la Chiesa dovrebbe riconsiderare attentamente certe sue posizioni: stimolare da una parte l’impegno educativo all’esercizio di una sessualità consapevole, dall’altra riconoscere la pratica di una regolazione della fertilità responsabile, anche con i mezzi adeguati che la scienza mette a disposizione. La soppressione di una vita infatti è eticamente diversa dalla consapevolezza e dalla responsabilità di una contraccezione cosciente. Come l’eutanasia attiva è diversa dall’accompagnamento supportato da idonei presidi palliativi di un malato al termine naturale della sua esistenza. In tal modo, il medico può diventare “educatore del significato della vita”; e se le sue mani non possono sempre essere efficaci nel favorire la guarigione, devono sempre essere tramiti di solidarietà, veicolo di empatia.
“Abbiate il cuore nelle vostre mani” è stato, a mio parere, il nocciolo del discorso di Papa Francesco; e se questa è stata una “catechizzazione indebita” di medici cattolici convocati per chissà quali crociate, fossero state così tutte le crociate!