(di Matteo Truffelli* su Avvenire) – Dobbiamo essere molto grati a papa Francesco per la sua capacità di sorprenderci ogni giorno con gesti e parole che arrivano al cuore e alla testa delle persone, credenti e non credenti, semplici e intellettuali, poveri e potenti. Dobbiamo essere davvero lieti di essere continuamente sollecitati a non accontentarci di una vita di fede tiepida e sonnolenta, che non scuote l’esistenza e non costringe a porsi delle domande. Dobbiamo sentirci fortunati a vivere questa straordinaria stagione della Chiesa, che ancora una volta si dimostra capace di suscitare tante attese e tante speranze, tanta stima e tanto affetto da parte degli uomini e delle donne che vivono dentro e fuori di essa.
Dobbiamo essere molto grati a Francesco per tutto questo, e per molto altro. Non ci sorprende e non ci scandalizza, d’altra parte, che si muovano critiche al Papa, dentro e fuori la Chiesa. Forse, ci lascia un pochino sbalorditi che si alzino sempre più di frequente le voci di blogger, giornalisti o scrittori che si sentono legittimati a riconoscergli o meno la patente di «buon cattolico». Soprattutto quando parlano in nome di non si sa quale «cattolico medio»: viene da chiedersi quali cattolici medi frequentino, in quali parrocchie li incontrino, in che occasioni si fermino a scambiare quattro chiacchiere con loro.
Per quanto ci riguarda, possiamo tranquillamente dire che le centinaia di migliaia di credenti di ogni età, di ogni parte d’Italia, di ogni ceto sociale, di ogni formazione culturale, di ogni parte politica che condividono il proprio cammino di fede, di vita, di Chiesa nell’Azione Cattolica sono ben lieti di lasciarsi smuovere e inquietare da papa Francesco. Perché sono ben lieti di lasciarsi smuovere e inquietare dal Vangelo. Possiamo dire che non sono affatto spaventati dall’invito a mettere in discussione ogni giorno il proprio modo di pensare e vivere la fede, il proprio modo di dare testimonianza di essa, la propria capacità di rendere di essa ragione a chi non crede.
Così come erano contenti quando a mettere in discussione qualche loro convinzione, acquisita magari a buon mercato e a prezzo di scarsa fatica, era il rigoroso magistero di Benedetto XVI. Possiamo tranquillamente dire che la gran parte di queste centinaia di migliaia di persone sono consapevoli che i severi richiami di papa Francesco nei confronti di coloro che si lasciano tentare dalla «accidia pastorale» e dalle altre «malattie curiali» sono rivolti anche a loro, perché anche loro condividono con la Chiesa tutta la responsabilità di annunciare il Vangelo, e di farlo in modo credibile, con la propria vita, con la trasparenza della propria fede, con la carità delle proprie azioni. Sanno bene, inoltre, che l’insegnamento di Francesco non si esaurisce nello slancio con cui egli va incontro e ci invita ad andare incontro, anzi a correre incontro al mondo, alla vita delle persone, per accoglierle, sostenerle e accompagnarle nella ricerca di pienezza e felicità che dà forma al loro cammino, aiutandole a dare il giusto nome alle attese di bene che portano in cuore.
Sono felici, però, di cogliere con immediatezza e semplicità nei gesti e nelle parole del pastore il volto di una Chiesa che non si accontenta di curare le pecore nell’ovile, ma va con ostinazione in cerca di quelle che si sono allontanate e che, quando le incontra, per prima cosa si chiede se siano ferite, ascolta quello che hanno da dire, le abbraccia. Perché il modo più immediato e di ‘annunciare il Vangelo ai contemporanei’ è sicuramente quello che inizia con il gesto di colui che passa lungo la strada e si china a curare le piaghe di chi è stato gettato ai margini di essa: piaghe fisiche,
materiali, spirituali, familiari.
Diceva don Primo Mazzolari che «le più belle pagine della storia della Chiesa sono scritte dalle anime inquiete». Se è così, il magistero di Francesco rappresenta uno straordinaria provocazione per ciascuno, laico, consacrato, presbitero o vescovo, a scrivere nuove pagine di santità. Andando oltre un’adesione al Vangelo che rischia a volte di essere identificata più con il rispetto di norme, tradizioni e consuetudini formali che non con una passione autentica per il Signore e per l’umanità. Per questo vediamo in papa Francesco un grande dono del Signore alla sua Chiesa e al mondo. E per questo respingiamo con assoluta determinazione il tentativo di chi cerca ostinatamente di dividere e di dividerci tra quelli ‘di Francesco’ e ‘quelli di Benedetto’, e magari quelli ‘di Giovanni Paolo’: già San Paolo, come sappiamo (1Cor 1,12), redarguiva severamente i cristiani di Corinto a non dire mai «io sono di Paolo », «io invece sono di Apollo», «io invece di Cefa»…
*Presidente nazionale dell’Azione Cattolica Italiana