(Don Francesco Machì) Per John Henry Newman il nome del cristiano è «colui che attende il Signore». Invece dobbiamo riconoscerlo: da secoli, in Occidente, l’attesa della venuta del Signore è una dimensione per lo più assente nella vita di fede dei cristiani. Era il rammarico di Ignazio Silone che scriveva: «Mi sono stancato di cristiani che aspettano la venuta del loro Signore con la stessa indifferenza con cui si aspetta l’arrivo dell’autobus».
Rivelatore di questa realtà è il modo abituale di comprendere e di vivere l’Avvento. Lo si è ridotto a tempo di preparazione alla festa del Natale. Che tristezza!
Non si comprende che l’Avvento è la chiave di tutto l’anno liturgico: l’escatologia è la vera dimensione dell’anno liturgico: ma chi parla più di Regno di Dio? Domandiamoci se la liturgia che è memoria della morte e resurrezione di Cristo fa di noi cristiani gente per la quale ancora il Signore non è ancora nato.
L’Avvento come la Quaresima è un tempo di digiuno e di penitenza. Privare il tempo liturgico della dimensione del regno escatologico significa sottrarre alla fede cristiana la dimensione della speranza. Ma allora a che è servita la presenza di Cristo? A che serve iniziare un ennesimo Avvento, preparare a celebrare un Natale sempre meno cristiano, cercare di scuoterci dalla crisi economica e di valori che ci hanno travolti?
La paura e l’apatia inquinano le nostre vite e quelle delle nostre comunità, per questo abbiamo sempre più bisogno di Avvento!
E’ Gesù che ci dice oggi «quando accade tutto questo, alzate lo sguardo».