Attacchi a Papa Francesco: l’opinione di don Enzo Bellante, Assistente Nazionale Mieac
In questi giorni, in seguito al servizio di Report, la trasmissione serale di Rai 3, ho ricevuto parecchie comunicazioni di persone indignate per le trame politiche sotterranee, oleate da fiumi di denaro, che hanno come obiettivo un attacco “senza precedenti” al Papa..
Premetto che un simile comportamento non è del tutto nuovo nella storia recente della Chiesa.. Risuonano ancora nella mia memoria gli insulti feroci contro Giovanni XXIII all’indomani della pubblicazione dell’enciclica “Mater et Magistra” e contro Paolo VI che portò a termine il Concilio. Quei veleni immessi nell’organismo ecclesiale produssero turbamento e indussero alcuni a pensare che fosse arrivata la fine della stessa Chiesa. In verità le innovazioni del Concilio avviarono la fine di una visione di Chiesa e produssero una straordinaria primavera di fede, ma trovarono l’opposizione di una frangia irriducibile di persone, che pescava in un ceto sociale legato ad una simbologia religiosa garante del loro prestigio e dei loro privilegi. Anzi, in alcune aree geopolitiche, con lo scorrere degli anni, la tendenza di alcuni uomini di Chiesa a stringere rapporti con questi gruppi (che anche il mite Benedetto XVI qualificò come “sporcizia”) si è potenziata e ramificata. Non mi meraviglia, quindi, l’attuale acredine che proviene da quello che è diventato un arcipelago di sigle clericali, le quali picchiano duro contro il Papa per addomesticare la Chiesa.
Quei Pontefici (e Francesco continua la loro azione) avevano invitato la Chiesa a liberarsi da tradizioni vuote e non più significanti, e riportare al centro della riflessione il contenuto fondamentale del Vangelo che determina la “salvezza” dell’uomo, nell’anima e nel corpo: Dio è Padre di tutti gli uomini, e tutti gli uomini sono fratelli di Gesù Cristo perché figli dello stesso Padre.
Ricordo alcuni gesti che accompagnarono il nuovo clima. Lo splendido discorso sulla Chiesa, madre di misericordia, con il quale Giovanni XXIII aprì il Concilio Vaticano II. E poi i segni eloquenti di Paolo VI: la vendita della tiara per darne il ricavato ai poveri; la rinuncia alla sedia gestatoria; la visita alle periferie del mondo, che obbligò finalmente i giornali e le televisioni a sbattere in prima pagina anche a muso duro, le condizioni terribili di vita in alcuni continenti e le straordinarie opere di carità portate avanti silenziosamente dai missionari; la pubblicazione dell’enciclica “Populorum progressio”, vera pietra miliare della dottrina sociale della Chiesa; la scelta, alla sua morte, di una semplice cassa poggiata per terra, proprio come gli ultimi. La maggior parte dei credenti, operando in umiltà alla luce dei principi evangelici, incoraggiavano il Papa a camminare su queste strade che profumano di Vangelo. Quel gruppo, invece, (si ricorderà, certamente, Monsignor Lefevre) reagì perché la Chiesa con la spinta del Concilio Vaticano II stava “perdendo la sua identità” storica, e papa Giovanni XXIII e Paolo VI vennero etichettati come anti-papi, papi comunisti, miscredenti …
Ora è il turno di Papa Francesco. Con una differenza. Allora non c’erano i social di oggi e la valanga di fango restava contenuta nelle pagine dei giornali. Oggi, tutti sono diventati opinionisti e pontificano a ruota libera non nel chiuso di un bar con gli amici ma sul web che promette notorietà a chi è più originale. Non solo. Da qualche anno si assiste alla sospetta proliferazione di numerose e costose testate giornalistiche e talk show. Non è difficile immaginare gli scopi e gli interessi delle lobbies che li finanziano. Basta osservare l’ossessione maniacale e il linguaggio semplicistico con cui i soliti conduttori ammanniscono le medesime analisi a buon mercato sparando titoli ad effetto e persino ostentando in modo pacchiano azioni e segni religiosi. Ribattendo tutti e sempre gli stessi argomenti, con l’occhio al sondaggio quotidiano, creano l’impressione di essere predominante moltitudine; così insegnavano maestri come Voltaire e Robespierre e così si comportavano agitatori dei popoli come Hitler e Stalin: “calunniate, calunniate, qualcosa resterà”. Sulle sceneggiate religiose stendiamo un velo pietoso: non conviene “sprecare molto olio per un cavolo” diceva il mio maestro Don Ignazio Sgarlata. Resta l’obbligo, però, di richiamare alla vigilanza per capire le nascoste intenzioni dei pupari e per diradare la nube di confusione che stanno abilmente creando per agire indisturbati
La vera domanda, allora, è: questi gruppi, quale chiesa vorrebbero in alternativa a quella di Papa Francesco? Una chiesa che conti ristabilendo uno IOR forte che, magari, alle spalle di un Papa impegnato ed extra in formali attività apostoliche, ,ritorni ad essere luogo di transito di capitali sospetti e tramite della vendita delle armi. A proposito, sarebbe interessante se i politici, che da poco hanno imparato il requiem aeternam, da recitare in TV per i morti del coronavirus, se questi politici, dicevo, rendessero noto il volume di guadagni accumulati – forse, anche per i loro partiti– aprendo i porti solo per la vendita degli strumenti di morte ai Paesi dai quali tante persone scappano per non morire ammazzate
. Una Chiesa che riporti l’attenzione dalle periferie al centro, dando potere ad ecclesiastici e non, perché possano essere ed avere più degli altri. Una Chiesa che nelle liturgie, metta da parte la semplice solennità dovuta alle celebrazioni, rimetta in piedi quei riti sfarzosi e quei paludamenti adatti a dare risalto, nell’immaginario collettivo, a chi è nei posti di visibilità piuttosto che a dare spazio alla presenza di Dio. Una Chiesa, di conseguenza, che anestetizzi le coscienze ritornando ad una teologia puramente accademica, insegnando a ripetere magiche e innocue formule di preghiere per la salvezza dell’anima, dimenticando, come diceva Santa Teresa, che la preghiera è fatta di poche parole in un continuo ascolto di Dio e della società con le sue.contraddizioni
In questi giorni del coronavirus gli attacchi contro il Papa si sono intensificati. Da una parte è segno che il vescovo di Roma, così misurato nei gesti e nelle parole, è riuscito ad entrare nel cuore di milioni di persone, credenti e non credenti, come vero uomo di Dio ed educatore della speranza.
Un Francesco sempre più “Magno” e un leader di statura mondiale sempre di più credibile, e, quindi, da temere ancor di più. Dall’altra parte è evidente che, dopo il lungo periodo di fermo lavorativo, è giunta l’ora di scaldare i motori perché sta per partire la gara di spartizione degli investimenti e dei guadagni nel mercato internazionale. E qui per i soliti gruppi devono valere le regole del gioco stabilite da tutti i nord-men del mondo e, quindi, devono essere tacitate le voci critiche dei ‘buonisti’. Sappiamo bene, infatti, che le regole di Francesco sono altre (e per questo Lo ringraziamo), quelle stesse del Falegname di Nazareth che non si tirò indietro, neppure davanti alla croce.
Noi crediamo nella Chiesa servita da Francesco e continueremo ad amarla questa Chiesa di Cristo (e non di Giovanni, di Paolo o di Francesco) perché ci pone umilmente di fronte al Mistero di Dio e ci coinvolge in una paziente ricerca “sinodale” del senso della storia e della vita. Vale la pena di investire la propria esistenza per questa Chiesa che vive in mezzo agli uomini. Non minimizzando l’amaro monito di Etty Hillesum, una ragazza che visse sulla sua pelle la tragedia dell’Olocausto: “Se in un mondo impoverito e reduce da una guerra dolorosa non avremo altro da offrire che i nostri corpi tratti in salvo e non un nuovo significato attinto dai pozzi più profondi dei nostri affanni e della nostra sofferenza, allora sarà davvero la sconfitta dell’umanità”.