PADRI E FIGLIE
di Gabriele Muccino
Il film è segnato, dall’inizio alla fine, da una drammaticità a dir poco sconvolgente, all’interno della quale, tuttavia, emerge una figura paterna, paradigmatica dal punto di vista educativo.
Protagonista è una famiglia costituita da padre, madre e una bambina tenera, vivace, intelligente e dalla sensibilità molto delicata.
Un incidente d’auto, il padre è alla guida, provoca la morte immediata della madre e altera gravemente in lui il sistema nervoso, determinando un’epilessia grave e irreversibile. Il ricovero prolungato in un ospedale altamente specializzato non lo guarisce dalla malattia, che periodicamente torna a manifestarsi in modo acuto e violento.
In questa situazione, la bambina, rimasta priva della figura materna, della quale, di tanto in tanto, piange la mancanza, instaura col padre un rapporto privilegiato e sempre carico di empatia. Un rapporto dove la dimensione ludica e affettiva, di cui sempre si nutre profondamente la relazione, si radica su un’esplicita trasmissione di valori -l’amore, prima di tutto- che il padre opera nei confronti della figlia, lasciando in essa segni indelebili del suo messaggio educativo e che si manifesteranno pienamente in lei in età adulta.
Scrittore di talento e di sempre maggiore successo, il padre si mostra molto attento anche all’educazione extra familiare della bambina e la iscrive in una scuola primaria molto esclusiva.
Ma, ben presto, la situazione si complica: la zia materna e il marito, coppia molto facoltosa e senza figli, vorrebbero adottare la nipote, per sottrarla alla convivenza col padre malato e per garantirle un futuro economicamente molto più sereno.
Si scatena un acceso conflitto tra il padre e la coppia, sicura, quest’ultima, che avrà la meglio a motivo della propria superiorità economica, che le consente una sicura assistenza legale; ma quando il marito avvia una relazione con la propria segretaria, la moglie chiede il divorzio e così il progetto di adottare la nipote automaticamente svanisce.
Ben presto, inoltre, la bambina resterà sola, perché il padre muore durante una delle sue crisi epilettiche. Si troverà così ad affrontare la sua adolescenza e la sua prima giovinezza priva di qualsiasi sostegno familiare.
Agli studi di psicologia, in cui darà prova della sua intelligenza, si unirà una grande fragilità psicologica, che la porterà a vivere una sessualità disordinata, fatta di incontri occasionali, fino a quando l’incontro con un ragazzo serio le aprirà davanti la strada dell’amore.
Ad esso l’ormai giovane donna si apre, portando però ancora dentro di sé i residui della vita precedente, come dimostra l’ennesimo flirt vissuto alle spalle del suo compagno.
La crisi della relazione che ne deriva verrà, però, ben presto riassorbita e l’affermazione dell’amore responsabile, solido e duraturo costituirà il messaggio conclusivo del film.
Il seme dell’educazione all’amore, gettato dal padre nel cuore della figlia ancora bambina, ha prodotto, dunque, nel tempo i suoi effetti. È’ proprio questa conclusione positiva a conferire al film di Muccino un significato per il quale la vita ha l’ultima parola sulla morte ed è capace di aprire anche le esistenze più dolorose ad un futuro ricco di speranza.
Anna Maria Vultaggio