Messenger Kids, un coro di proteste contro l’app di messaggistica per bambini
È ancora in fase di sperimentazione negli Stati Uniti, su iPhone e iPad, e già sono tanti gli esperti e le realtà che si sono schierati contro Messenger Kids, l’applicazione di messaggistica istantanea dedicata ai bambini. Si tratta di associazioni come Common Sense Media and Public Citizen o Media Education Foundation, che hanno aderito alla Campaign for a Commercial-Free Childhood. Nei giorni scorsi hanno promosso una petizione e scritto una lettera direttamente a Mark Zuckerberg, fondatore e patron di Facebook e Messenger, per chiedere di bloccarne il lancio sugli altri dispositivi e in tutto il mondo. Secondo loro, infatti, rappresenta un rischio per i più piccoli.
E dire che Messenger Kids nasce proprio come strumento ideale per i minori ai quali la maggior parte dei social e delle app vieta l’iscrizione. Nella fattispecie si rivolge alla fascia di età che va dai 6 ai 12 anni. Rispetto al Messenger tradizionale Messenger Kids dà la possibilità ai genitori di controllare e gestire le attività dei loro figli. Ad esempio affida ai primi il potere di accettare o rifiutare le richieste di collegamento, di prendere visione delle loro conversazioni, le quali non possono essere né cancellate né nascoste. Inoltre, la chat è off limits per quanto riguarda la pubblicità, mentre i responsabili assicurano che i dati prodotti dagli utenti non verranno utilizzati in alcun modo.
Teoricamente ci sarebbero tutte le condizioni per un utilizzo in sicurezza dell’applicazione da parte dei minori. Messenger Kids, infatti, integrerebbe tutta una serie di accorgimenti che aumentano sensibilmente il livello di garanzie rispetto ai social e alle chat utilizzati dagli over 13. Questi accorgimenti, tuttavia, sottolineano i firmatari della petizione e della lettera, non basterebbero a mettere gli utenti al riparo da altri rischi. Secondo loro, infatti, la problematicità dell’utilizzo dei social e delle chat da parte dei minori prescinde dalle precauzioni prese, perché risiede proprio nella loro giovane età. In particolare nell’incapacità di gestire le relazioni via internet, nella mancanza di consapevolezza circa la tutela della propria privacy e nella loro propensione a trascorrere sempre più tempo sulla rete.
La maggior parte degli studiosi concorda sul fatto che intrattenere delle relazioni attraverso i nuovi media, e i social in particolare, genera spesso equivoci e fraintendimenti non solo tra i minori, ma anche tra gli adulti. È questo ciò che emerge da molte ricerche condotte sia negli Stati Uniti che in Europa. Non tutti padroneggiano le “categorie e le abilità mediatiche” per un’interpretazione e una comunicazione corretta dei messaggi e dei loro contenuti.
C’è poi il delicatissimo capitolo della privacy. Anche in questo caso è stato dimostrato che gli utenti più giovani, rispetto a quelli più adulti, hanno una minore consapevolezza dell’importanza di tutelare la propria sfera privata. Di conseguenza capita di frequente che essi condividano dati sensibili, come immagini e video personali, che sarebbe meglio mantenere riservati. Informazioni che possono suscitare imbarazzo se il destinatario decide di condividerle con altri o di renderle pubbliche. A poco, infatti, serve il potere di controllo e di censura di un genitore quando, ad esempio, il figlio trasmette un’immagine scabrosa. In quello stesso istante sia il primo che il secondo perdono il controllo su quel contenuto.
Infine, c’è il grande problema della dipendenza da Ict. Che si tratti di smartphone, di tablet o di computer, adolescenti e bambini passano troppo tempo davanti agli schermi. Una tendenza che influisce negativamente sullo sviluppo delle loro abilità relazionali, perché riduce sensibilmente i momenti e gli spazi dell’interazione diretta con gli altri e altera il normale processo di formazione del carattere. Per non parlare delle ricadute che può avere a livello cognitivo, visto che è ormai dimostrato come l’eccessivo utilizzo delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione in età prescolare e nei primi anni di scuola, può generare seri disturbi dell’attenzione.
Matteo Scirè