(Matilde Lumia) – Nell’agenda di chiunque si trovi a Roma, in questo periodo, non dovrebbe mancare una sosta alle Scuderie del Quirinale, dove, fino al 21 giugno, è allestita la mostra “Matisse.Arabesque”.
L’esposizione, curata da Ester Coen, insieme ad un comitato scientifico composto da John Elderfield, Remi Labrusse e Olivier Berggruen, immerge il visitatore in un’attenta, precisa e affascinante riscoperta dell’Oriente filtrato attraverso la visione occidentale del Maestro, che ha rivoluzionato la storia della pittura del Novecento, e restituitaci dalle sue pennellate.
Divise sul filo di un percorso tematico più che cronologico, le dieci sale riuniscono insieme oltre novanta opere tra disegni, dipinti e costumi teatrali che Henri Matisse realizza durante tutto l’arco della sua carriera artistica e che, per la prima volta, vengono riunite insieme, in Italia, dai più prestigiosi musei del mondo, in particolare americani ed europei, con un rilevante contributo dell’Ermitage di San Pietroburgo e del Museo Puskin di Mosca, oltre al Philadelphia Museum of Art, il MOMA di New York e la Tate Gallery di Londra, per citarne alcuni.
Si tratta di capolavori che nascono dalle infinite suggestioni e dai molteplici stimoli che l’artista riceve visitando mostre, collezioni, esposizioni permanenti allora allestite nei più prestigiosi musei europei. Ma è, in particolar modo, con l’esperienza diretta, durante i soggiorni in Algeria, Marocco, Russia, Cina e Giappone che Matisse riesce ad assorbire e a farsi travolgere dal fascino di culture altre. Località come l’‹Oasi› di Biskra o Tangeri, la bianca sono continue fonti d’ispirazione per il Nostro. L’incantamento per questo “altrove”, per i colori locali coinvolge Matisse a tal punto da fargli intraprendere una personale indagine sulla pittura fondata sulla sublimazione del colore e della linea, sull´idea stessa di superficie e su una concezione del tutto nuova dello spazio, ispirandosi alla tradizione decorativa nord-africana e medio-orientale. “Nell’arte islamica avevo notato che il disegno dei vuoti lasciati intorno alla foglia conta tanto quanto il disegno della foglia stessa”, scrive lo stesso Matisse. Questi viaggi rappresentano, infatti, dei momenti salienti nell’evoluzione dello stile del mancato avvocato di Le Cateau – Cambrèsis.
Da acuto ed appassionato collezionista, non tarderà a lasciarsi affascinare da stoffe, tele, tessuti, tappeti da preghiera, ceramiche, prodotti locali di popoli lontani, misteriosi ed esotici. Egli li porterà con sé, dopo averne ben fissato in mente le trame e le maglie coloristico-spaziali. E sono proprio tutti questi materiali con le loro ricche decorazioni che, allestiti in apposite vetrine, accompagnano il visitatore in uno stimolante gioco di continui richiami con capolavori quali Il paravento moresco (1921, Philadelphia, Musium of Art) o Rifano in piedi (o Marocchino in verde) (1912, San Pietroburgo, Ermitage), che la curatrice ha voluto proporre con l’intento – del tutto matissiano – di coinvolgimento emozionale dello spettatore.
Non può mancare un richiamo agli splendidi costumi teatrali, realizzati per il balletto Le chant du rossignol, portato in scena nel 1920 dalla compagnia di Sergej Diaghilev, con musiche di Stravinsky e coreografie di Massine, che mostrano il fascino e l’incanto di Matisse per il mondo della decorazione tessile. Anche qui seppe esprimere il suo genio.