Fake News, smontarle con metodi scientifici è controproducente
Provate ad andare su uno dei tanti siti web e profili social, in particolare quelli di Facebook, che quotidianamente tentano di smontare (teorie complottiste o notizie false), fornendo pareri di esperti o dati scientifici. Vedrete una sfilza impressionante di commenti contrari di utenti che credono alle bufale, anche di fronte all’evidenza.
È questa la dimostrazione lampante della scarsa efficacia del debunking o del fact checking oggetto di una ricerca effettuata da un team universitario internazionale e guidata da ricercatori italiani basato sull’attività degli utenti su Facebook nell’arco di cinque anni. Addirittura nella maggior parte dei casi queste tecniche risultano controproducenti.
A poco serve la confutazione di tesi e informazioni, basandosi su metodi scientifici o storici per contrastare le fake news. Un fenomeno, quest’ultimo, che in molti Paesi sta assumendo dimensioni allarmanti, come in Italia dove, ad esempio, il calo delle vaccinazioni e l’avanzare dei movimenti anti vaccini hanno spinto il governo a prendere severi provvedimenti per obbligare le famiglie a vaccinare i figli.
Lo studio, pubblicato sulla rivista Plos One, è stato condotto su 83 pagine Facebook di carattere scientifico, 330 pagine complottiste e 66 dedicate al debunking. In tutto sono stati analizzati i post, i commenti e le reaction pubblicati da circa 54 milioni di utenti.
Una grande mole di dati dalla quale emerge con chiarezza che raramente chi crede nelle fake news entra in contatto con pagine di debunking. Al contrario questi utenti dialogano all’interno di un contesto chiuso, una “cassa di risonanza” che rafforza la loro tesi di partenza. “I post di debunking stimolano commenti negativi, non raggiungono il pubblico complottista oppure lo fanno reagire nel senso opposto a quello sperato”, afferma Fabiana Zollo, prima autrice dell’articolo e ricercatrice post-doc al Dipartimento di Scienze Ambientali, Informatica e Statistica dell’Ateneo Ca’ Foscari di Venezia.
Ma perché molti cittadini cadono nelle rete delle notizie false e soprattutto perché diventa sempre più difficile recuperarli? Per gli studiosi le motivazioni sono molteplici. “La diffusione della disinformazione è dovuta alla polarizzazione degli utenti, ma anche alla crescente sfiducia nei confronti delle istituzioni e all’incapacità di capire in modo corretto le informazioni”, spiega Zollo. “Questi aspetti – continua – sommati al meccanismo delle casse di risonanza e alla ricerca di conferme delle proprie tesi minano l’efficacia del debunking”.
La forza della ragione e l’infallibilità della scienza, quindi, non bastano o meglio sono strategie inopportune e poco efficaci. Il debunking e l’attacco frontale ai complottisti, secondo i fabiana zolloricercatori, non sono antidoti al propagarsi di fake news.
Cosa fare allora? Per Fabiana Zollo “l’uso di un approccio più aperto e morbido, che promuova una cultura dell’umiltà con l’obiettivo di abbattere i muri e le barriere tra le tribù della rete, rappresenterebbe un primo passo per contrastare la diffusione della disinformazione e la sua persistenza online”.
Facile a dirsi difficile a farsi in una società attraversata, a tutti i livelli, da una profonda crisi di credibilità e pervasa da un continuo flusso di informazioni false o non verificate. Per il momento l’antidoto migliore rimane l’istruzione e l’educazione ad un utilizzo consapevole e responsabile dei mezzi di informazione e dei nuovi media.
Matteo Scirè