Le nozze di Cana
2° domenica del T. O. (Anno C)
Il terzo giorno vi fu una festa di nozze a Cana di Galilea e c’era la madre di Gesù. Fu invitato alle nozze anche Gesù con i suoi discepoli. Venuto a mancare il vino, la madre di Gesù gli disse: «Non hanno vino». E Gesù le rispose: «Donna, che vuoi da me? Non è ancora giunta la mia ora». Sua madre disse ai servitori: «Qualsiasi cosa vi dica, fatela». Vi erano là sei anfore di pietra per la purificazione rituale dei Giudei, contenenti ciascuna da ottanta a centoventi litri. E Gesù disse loro: «Riempite d’acqua le anfore»; e le riempirono fino all’orlo. Disse loro di nuovo: «Ora prendetene e portatene a colui che dirige il banchetto». Ed essi gliene portarono. Come ebbe assaggiato l’acqua diventata vino, colui che dirigeva il banchetto – il quale non sapeva da dove venisse, ma lo sapevano i servitori che avevano preso l’acqua – chiamò lo sposo e gli disse: «Tutti mettono in tavola il vino buono all’inizio e, quando si è già bevuto molto, quello meno buono. Tu invece hai tenuto da parte il vino buono finora». Questo, a Cana di Galilea, fu l’inizio dei segni compiuti da Gesù; egli manifestò la sua gloria e i suoi discepoli credettero in lui.
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La liturgia odierna ci può aiutare a comprendere sempre meglio chi è Gesù, la sua vera identità. Ci viene riportato il primo segno da lui compiuto, il prodigio dell’acqua cambiata in vino durante un banchetto di nozze a Cana in Galilea.
Il miracolo di Cana, viene chiamato nel testo greco l’arché ( il primo, il modello esemplare), ma da Giovanni viene chiamato segno. Questo “segno” non fu solo il primo, ma anche il modello degli altri miracoli. Perché?
Facile la strada del miracolo: tanto abbagliante da toglierci qualsiasi fatica; tanto evidente da farci soltanto annuire; tanto sollecito da farci arrivare subito alla meta senza nemmeno metterci in cammino. Più impegnativo invece, il segno, perché ci chiama in causa, ci chiede di vedere, di comprendere, di ascoltare, di provare a capire che cosa significhi; il segno chiede di essere interpretato, ha bisogno della nostra intelligenza, il segno “ha bisogno” di noi.
Il vino nel mondo biblico era il simbolo dell’abbondante benedizione di Dio ed anche il segno del Regno che viene nella persona del Messia.
Ma il regno, è ancora lontano, l’ora di Gesù non ancora giunta. L’intervento della madre è una forma di intercessione di salvezza, tuttavia nella risposta di Gesù comprendiamo che non è giunto il momento del suo svelamento.
L’ora verrà e sarà il momento drammatico della croce, dove in Gesù si renderà esplicita la volontà di salvezza di Dio per tutti gli uomini. Così l’acqua abbondante (6 giare) cambiata in vino, diventa il dono dell’abbondanza della salvezza.
La liturgia odierna, dunque, ci chiarisce la vera identità di Gesù: possiamo dire che egli è lo sposo dell’umanità. Se la Chiesa è la sposa di Gesù, essa deve diventare “segno”, ma anche luogo di esperienza di Lui, luogo del servizio reciproco, luogo dei legami d’amore dove l’abbondanza del vino è il “segno” che l’amore di Dio non ha una misura, che però ha bisogno di noi per avverarsi.
Don Francesco Machì