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Il buon pastore

Il buon pastore
IV domenica di Pasqua B

In quel tempo, Gesù disse: «Io sono il buon pastore. Il buon pastore offre la vita per le pecore. Il mercenario invece, che non è pastore e al quale le pecore non appartengono, vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge e il lupo le rapisce e le disperde; egli è un mercenario e non gli importa delle pecore. Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, come il Padre conosce me e io conosco il Padre; e offro la vita per le pecore. E ho altre pecore che non sono di quest’ovile; anche queste io devo condurre; ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge e un solo pastore. Per questo il Padre mi ama: perché io offro la mia vita, per poi riprenderla di nuovo. Nessuno me la toglie, ma la offro da me stesso, poiché ho il potere di offrirla e il potere di riprenderla di nuovo. Questo comando ho ricevuto dal Padre mio».

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Il brano evangelico di questa 4° domenica di Pasqua, tratto dal vangelo di Giovanni cap. 10,11-18, trova un riferimento necessario nel capitolo precedente (Gv 9,40-41), dove si parla della guarigione di un cieco nato e della polemica dei farisei con Gesù circa la sua cecità. Immediatamente dopo, in Gv 10,19-21, l’evangelista colloca la conclusione di questa polemica. I farisei si presentano al popolo come leaders , come guide sicure e uniche in grado di guidarlo nell’osservanza delle cose che riguardavano il culto e l’ascolto- pratico della Legge. Ma essi, invece di servire ed aiutare la gente a discernere, cercano i propri interessi. Parlano in modo da ingannare le persone e non si presentano in maniera sincera, operando secondo una modalità approfittatrice. Gesù, utilizzando nella parabola l’immagine del buon pastore, intende sottolineare la differenza tra il pastore che si prende cura delle pecore ed il mercenario che si dilegua dinnanzi al pericolo del lupo, non prendendo su di sé alcun coinvolgimento, né tantomeno esponendo l’intenzione di offrire la propria vita in caso di pericolo.
I farisei si sentono leaders, ma si comportano da pastori? Quali sono i criteri per stabilire chi è pastore e chi mercenario? Bisogna fare attenzione a due cose: 1. all’atteggiamento delle pecore davanti al pastore che le conduce, per vedere se ascoltano la sua voce; 2. all’atteggiamento del pastore davanti alle pecore, per vedere se il suo interesse è la vita delle pecore e se è capace di esporre la stessa vita per il benessere delle pecore.
Gesù, presentandosi come il buon pastore, ne recupera l’immagine proveniente dal primo Testamento, ovvero come colui che viene a compiere le promesse dei profeti e le speranze della gente. Egli conosce le sue pecore. Conoscere nel linguaggio biblico indica non un atto della mente e neppure una questione di sapere il nome o il volto della persona, bensì del cuore, che non solo ama, ma amando, dà anche all’altro la possibilità di rispondere all’amore, creando una circolarità di affetto che diventa concretamente attenzione, cura, e disponibilità anche a dare la propria vita, se fosse necessario. Le pecore stesse percepiscono e sentono quando una persona le difende e le protegge.
Questo vale per tutti noi, che apparteniamo alla comunità del recinto di Gesù che è la Chiesa, in base ad una corresponsabilità nel condurre la vita delle nostre comunità secondo i criteri evangelici, fermo restando che solo Gesù è e rimane l’unico e vero buon pastore.
Ed allora ci chiediamo: quali sono le qualità delle pecore, che siamo noi? Quali i nostri compiti? La nostra azione pastorale continua la missione di Gesù–pastore? Ci si prende cura reciprocamente tenendo conto delle diverse infermità morali e spirituali? Sappiamo utilizzare il farmaco dell’ascolto, della tenerezza, dell’ interessamento e della comprensione? Se Gesù dice: «Questo comando ho ricevuto dal Padre mio», vorrà dire che se noi non ci mettiamo in sintonia con quanto il buon pastore ci suggerisce, rischiamo di collocarci lontano dalla volontà del Padre e finiremo con l’essere annoverati tra i tanti mercenari che ancora sono soliti ingannare la gente. Mentre la differenza tra il mondo e la Chiesa dovrebbero essere tangibile.
Sant’Agostino nell’omelia n. 47 del suo commento al Vangelo di Giovanni scrive:« Siete pecore di Cristo, acquistate a prezzo del suo sangue. Riconoscete il vostro prezzo, che non è versato da me, ma da me è annunciato. Se altri hanno dato la vita per il gregge, non l’han potuto fare senza il buon Pastore, il quale solo ha potuto fare questo senza di loro. Ormai sapete, nel nome del Signore, chi è il buon pastore, e come tutti i buoni pastori siano sue membra, e perciò uno solo è il pastore; sapete chi è da tollerarsi come mercenario, chi è il lupo, chi sono i ladri e i briganti da cui ci si deve guardare; sapete chi sono le pecore, chi è la porta per la quale entrano sia le pecore che il pastore, e chi si deve intendere come portinaio. Sapete pure che chi non entra per la porta è un ladro e un brigante, che viene solo per rubare, uccidere e distruggere…Sapete pure che chi non entra per la porta è un ladro e un brigante, che viene solo per rubare, uccidere e distruggere. Ritengo che tutte queste cose siano state sufficientemente spiegate. Oggi, con l’aiuto del Signore, dobbiamo dire in che modo egli entra attraverso se stesso, poiché il medesimo Gesù Cristo nostro Salvatore ha detto di essere sia il pastore che la porta, e ha aggiunto che il buon pastore entra per la porta. Se infatti nessuno è buon pastore se non quello che entra per la porta, ed egli è il buon pastore per eccellenza ed è insieme la porta, dobbiamo per forza concludere che egli entra attraverso se stesso dalle sue pecore, per dar loro la voce in modo che lo seguano, ed esse, entrando e uscendo, trovano i pascoli, cioè la vita eterna».

Don Francesco Machì