EMPATIA
Una presentazione di Laura Guida dell’articolo di S.Tisseron: “L’empatia. Una relazione mutua e reciproca” in psicologia contemporanea N° 238, GIUNTI editore s.p.a., Firenze-Milano, 2013
Tutti i giorni ci troviamo di fronte ad episodi, oppure ascoltiamo notizie di accadimenti che non sembrano dimostrare grande empatia in chi compie atti di violenza, razzismo, bullismo… D’altro canto, sarebbe ingiusto negare che, molte persone, al contrario, basano la propria vita sull’empatia, scegliendo professioni e mestieri in cui ci si dedica agli altri, oppure adoperandosi ogni giorno in azioni di solidarietà e volontariato, che invece sembrano essere alimentate da un forte senso empatico.
“L’uomo, infatti, è capace di comportamenti estremi sia nella cura dell’altro, sia nell’indifferenza più crudele” (Tisseron, 2013).
Allora quali sono le origini di queste differenze di personalità?
Innanzi tutto, per poter affrontare in maniera corretta il problema, ho trovato adeguata la premessa dell’autore che si preoccupa di distinguere l’empatia da altri sentimenti con la quale essa è spesso confusa, quali ad esempio, la simpatia, la compassione, o la “semplice identificazione”. Quest’ultima infatti, è solo il primo grado dell’empatia che si sviluppa in tre livelli. L’autore la paragona ad una piramide a tre strati oppure ad una nave con tre piani sovrapposti.
Lo “scafo”di questa nave, è l’empatia di base, comune a tutti gli uomini. Cominciamo dunque a delineare un’origine biologica, ereditaria. Essa è descritta come “capacità di cambiare punto di vista senza perdersi” (Tisseron, 2013) , ed è in ogni caso garantita (salvo in caso di autismo), perché si fonda sulla neurofisiologia. Essa si compone di due dimensioni, una emotiva (compare non appena il bambino è capace di distinguere sé stesso dall’altro) e l’altra cognitiva (capacità vera e propria di comprendere il punto di vista altrui, che si manifesta intorno ai quattro anni e mezzo). Questo primo livello, non include nessun coinvolgimento particolare, può essere definito come la capacità di “immaginarsi cosa si potrebbe provare o pensare essendo al posto dell’altro”.
È la Teoria della Mente Piagetiana.
Il secondo livello, proseguendo verso l’alto, è costituito invece dall’empatia reciproca, dove “non solo mi identifico con l’altro, ma gli riconosco il diritto di identificarsi con me […] di avere accesso alla mia realtà psichica, di comprendere quello che comprendo e di provare quello che provo” (Tisseron, 2013).
Questo livello porta con sé la “dinamica dello specchio”. Implica un contatto diretto, a differenza dell’identificazione, oltre ai gesti espressivi come il sorriso, tutta la mimica facciale, lo scambio di sguardi.
Ancora una volta, non c’è nessuna esclusiva. Questa caratteristica è applicabile ad esseri umani, come ad animali e, addirittura, ad oggetti inanimati.
Il livello più elevato dell’empatia è l’intersoggettività; essa è ricollegata al concetto di estimità (mostrare frammenti di sé al “mondo”), e consiste nell’aprire la propria interiorità all’altro, permettendo che ci cambi e trasformi.
A questo punto ci si può soffermare sulla “bipolarità psichica” a cui si è accennato precedentemente.
L’uomo, infatti, seppure sia “naturalmente empatico”, può alienarsi totalmente da questa caratteristica sino a ridurla al minimo, anzi all’opposto, nella propria personalità.
Il nemico principale dell’empatia è il dominio. Esso agisce in una continua lotta interna contro il nostro senso empatico, sin dalla nascita. Infatti, all’origine dell’empatia, troviamo l’incontro con l’altro.
L’essere umano si scopre contemporaneamente a quando scopre anche l’altro, e , in quello stesso incontro, nasce anche il desiderio di dominio.
Tisseron, presenta l’esempio dell’allattamento, dove troviamo la tendenza alla reciprocità che si oppone a quella di dominare.
Quest’ultima si manifesta nel soggetto nell’angoscia di essere dominato, e nel desiderio di dominare, sentimenti che spesso si uniscono in un circolo vizioso.
Fatte queste considerazioni, dunque, dobbiamo inserire nel nostro studio sull’origine dell’empatia, un’altra variabile: l’apprendimento.
Infatti, l’unico modo che si ha per vincere questa dinamica interna, e l’indifferenza che ne consegue, è sviluppare l’empatia in tenera età.
L’autore, a questo punto, propone un’ attività didattica il “Gioco delle tre figure” (Tisseron 2010), che si basa sull’interpretazione dei bambini, di tre ruoli, classici delle storie che essi sono abituati ad ascoltare e raccontare: l’aggressore, la vittima e il salvatore.
Il gioco prevede che i bambini interpretino tutti e tre i ruoli a turno, in modo da provare la situazione proposta da tutti i punti di vista; questo sembra essere un efficace metodo preventivo di aggressività e violenza.
Cosa possiamo dedurre dunque dalla nostra breve indagine?
Per quanto l’empatia abbia una componente che potremmo definire biologica, essa trova le sue radici più profonde nell’apprendimento e, dunque, nell’educazione.
Questo è, secondo me, un importante spunto di riflessione. Infatti, se l’essere empatici, dipende in grande misura da come veniamo educati, questo ci rende, in qualche modo responsabili a riguardo. Significa che si è chiamati come educatori, psicologi, ma anche come semplici adulti della società, ad impegnarci nello sviluppo di questa caratteristica nei bambini e nei ragazzi, nelle famiglie, nelle scuole, nelle iniziative sociali, e magari anche nella comunicazione dei media, che sempre più propone un distacco dai problemi delle persone reali, propinando in sostituzione un’eccessiva identificazione con personaggi di film, serie tv e programmi televisivi.
È chiaro che ci possa essere una predisposizione caratteriale all’essere empatici, ma trovo che ci troviamo in un periodo storico in cui siamo trasportati verso una disumanizzazione assoluta; penso alle polemiche sui profughi, ma anche ai tanti casi di cronaca che vedono uomini violentare ed uccidere donne e bambini, madri abbandonare e trascurare i figli, e figli dimenticare genitori anziani costretti a morire soli.
Se all’empatia si educa, non credo che la nostra società stia facendo un ottimo lavoro con le nuove generazioni. Questo distacco dagli altri esseri umani che permette di compiere azioni orrende, deumanizzando chi ci si trova davanti, in qualche modo deumanizza anche il soggetto che lo mette in atto, privandolo di una caratteristica che abbiamo visto essere tipica dell’essere umano.
Credo che una cultura di educazione all’empatia sia più che indispensabile e che questa costituisca un riavvicinamento alla nostra umanità.
ARTICOLO: S.Tisseron “L’empatia. Una relazione mutua e reciproca” in psicologia contemporanea N° 238, GIUNTI editore s.p.a., Firenze-Milano, 2013