«Educare cristianamente non è soltanto fare una catechesi: questa è una parte. Non è soltanto fare proselitismo – non fate mai proselitismo nelle scuole! Mai! – Educare cristianamente è portare avanti i giovani, i bambini nei valori umani in tutta la realtà, e una di queste realtà è la trascendenza. Oggi c’è la tendenza ad un neopositivismo, cioè educare nelle cose immanenti, al valore delle cose immanenti, e questo sia nei Paesi di tradizione cristiana sia nei Paesi di tradizione pagana. E questo non è introdurre i ragazzi, i bambini nella realtà totale: manca la trascendenza. Per me, la crisi più grande dell’educazione, nella prospettiva cristiana, è questa chiusura alla trascendenza. Siamo chiusi alla trascendenza. Occorre preparare i cuori perché il Signore si manifesti, ma nella totalità; cioè, nella totalità dell’umanità che ha anche questa dimensione di trascendenza. Educare umanamente ma con orizzonti aperti. Ogni sorta di chiusura non serve per l’educazione.
E’ vero che non solo i vincoli educativi si sono rotti, ma l’educazione è diventata anche troppo selettiva ed elitaria. Sembra che abbiano diritto all’educazione soltanto i popoli o le persone che hanno un certo livello o una certa capacità; ma certamente non hanno diritto all’educazione tutti i bambini, tutti i giovani. Questa è una realtà mondiale che ci fa vergognare. E’ una realtà che ci porta verso una selettività umana, e che invece di avvicinare i popoli, li allontana; allontana anche i ricchi dai poveri; allontana una cultura dall’altra… Ma questo accade anche nel piccolo: il patto educativo tra la famiglia e la scuola, è rotto! Si deve ri-cominciare. Anche il patto educativo tra la famiglia e lo Stato: è rotto. A meno che ci sia uno Stato ideologico che vuole approfittare dell’educazione per portare avanti la propria ideologia: come quelle dittature che noi abbiamo visto nel secolo scorso. E’ brutto. Fra i lavoratori più malpagati ci sono gli educatori: cosa vuol dire, questo? Questo vuol dire che lo Stato non ha interesse, semplicemente. Se l’avesse, le cose non andrebbero così. Il patto educativo è rotto. E qui viene il nostro lavoro, di cercare strade nuove.
Oggi ci vuole una “educazione di emergenza”, bisogna puntare sull’“educazione informale”, perché l’educazione formale si è impoverita a causa dell’eredità del positivismo. Concepisce soltanto un tecnicismo intellettualista e il linguaggio della testa. E per questo, si è impoverita. Bisogna rompere questo schema. E ci sono esperienze, con l’arte, con lo sport… L’arte, lo sport, educano! Bisogna aprirsi a nuovi orizzonti, creare nuovi modelli… Ci sono tante esperienze: voi conoscete quella che è stata presentata da voi, “Scholas occurrentes”, che cerca proprio di aprire, di aprire l’orizzonte a un’educazione che non sia soltanto di concetti in testa. Ci sono tre linguaggi: il linguaggio della testa, il linguaggio del cuore, il linguaggio delle mani. L’educazione deve muoversi su queste tre strade. Insegnare a pensare, aiutare a sentire bene e accompagnare nel fare, cioè che i tre linguaggi siano in armonia; che il bambino, il ragazzo pensi quello che sente e che fa, senta quello che pensa e che fa, e faccia quello che pensa e sente. E così, un’educazione diventa inclusiva perché tutti hanno un posto; inclusiva anche umanamente. Il patto educativo è stato rotto per il fenomeno dell’esclusione. Noi troviamo i migliori, i più selettivi – che siano i più intelligenti, o siano quelli che hanno più soldi per pagare la scuola o l’università migliore – e lasciamo da parte gli altri. Il mondo non può andare avanti con un’educazione selettiva, perché non c’è un patto sociale che accomuni tutti. E questa è una sfida: cercare strade di educazione informale. Quella dell’arte, dello sport, tante, tante…
Un educatore che non sa rischiare, non serve per educare. Un papà e una mamma che non sanno rischiare, non educano bene il figlio. Rischiare in modo ragionevole. Cosa significa questo? Insegnare a camminare. Quando tu insegni a un bambino a camminare, gli insegni che una gamba deve essere ferma, sul pavimento che conosce; e con l’altra, cercare di andare avanti. Così se scivola può difendersi. Educare è questo. Tu sei sicuro in questo punto, ma questo non è definitivo. Devi fare un altro passo. Forse scivoli, ma ti alzi, e avanti… Il vero educatore dev’essere un maestro di rischio, ma di rischio ragionevole, si capisce».
Papa Francesco ai partecipanti al Congresso mondiale promosso dalla Congregazione per l’educazione cattolica