(Mimmo Sinagra) – Ho letto con interesse l’intervista rilasciata recentemente da Papa Francesco a due giovani giornalisti di un “giornale di strada” olandese. E mi sono fatto l’idea, dalle confidenze espresse dal Papa, che come Francesco d’Assisi egli sia veramente innamorato di Madonna Povertà: sia per il racconto della sua infanzia, con il suo giocare al pallone per strada (neppure tanto bravo, lo mettevano spesso in porta); per la narrazione delle condizioni non agiate della sua famiglia (che comunque poteva permettersi una cameriera una volta la settimana, questa sì veramente indigente, che accompagnerà per tutta la sua vita il percorso del Papa, lasciandogli un ricordo indelebile); per il suo sacerdozio ed episcopato, intessuti di relazioni con i poveri; per la sua ascesa al Pontificato, mai ritenuto un privilegio, ma un servizio da rendere al popolo di Dio. Una continua ricerca della “non apparenza”; un voler mettere al primo posto il povero, senza ricadere in una ricerca del “miserevole”; insomma, povertà senza pauperismo, rispetto della dignità del proprio ruolo nella Chiesa ma anche scelta di “sostanza” anziché di “effetto”.
Sto affermando tutto ciò in queste giornate di “tempesta”, in cui sembra che l’intero Vaticano venga travolto dallo scandalo della “ricchezza”.
Lo affermo perché anzitutto vorrei proprio lasciar fuori da tutto questo Papa Francesco, che anzi, fin dall’inizio, fin dai tempi in cui ancora non era uscita alcuna “indiscrezione”, si è adoperato senza tregua per denunziare i “faraoni”, per emarginare gli arrivisti e i lestofanti, gli amanti del lusso e del bel vivere.
Le indiscrezioni, appunto, hanno evidenziato in modo traumatico ciò che il Papa si prefiggeva di correggere con pazienza e senz’altro con maggiore incisività. Sbattere in un sicuro “best-seller” verità scabrose trafugate con l’inganno non aggiunge nulla, anzi forse fa da ostacolo, al lavoro che Francesco perseguiva e persegue andando nello stesso verso.
Nulla di ciò che sta avvenendo deve sminuire la sua figura, considerandolo silenzioso spettatore o quasi complice dei misfatti appurati; anzi egli è fermamente deciso a stroncarli, aiutato dai suoi sempre più numerosi fedeli collaboratori; perfettamente consapevole che la Chiesa non è costituita da quattro curiali corrotti o da due spie informatiche, ma da un intero popolo di Dio, formato dalla Gerarchia più sana (che egli sta pazientemente costituendo e formando, vedi recenti nomine vescovili) e da laici educati alla scuola del Concilio.
I media fanno miracoli: l’attico di Bertone, le spese di Pell, le gozzoviglie di prelati e cardinali non adusi all’odore delle pecore ma alla vita smidollata della Roma dei “vitelloni cresciuti” di felliniana memoria (spero di non vederli mai su un pulpito, annunziare il Vangelo), fanno improvvisamente scomparire dalla scena il Papa, Madre Teresa, Padre Puglisi, mons. Romero, i missionari, le suore, i laici che pagano con l’impegno, la sofferenza e la vita la coerenza alla loro fede.
I “duri colpi” all’immagine di Papa Francesco sono visti da chi li vuol vedere; io vedo solo una Chiesa che, come sempre, vive appesantita dal peccato di alcuni e corroborata dalla dedizione di molti, con un Papa che finalmente si mette alla sua testa per additare in Cristo e nel Vangelo gli unici riferimenti.