– Matteo Scirè – Ieri, scorrendo il news feed di Facebook, ho trovato diversi “amici” che contestavano le dichiarazioni di Umberto Eco, rilasciate a margine di un incontro all’Università di Torino, secondo cui “i social media danno diritto di parola a legioni di imbecilli”.
Per questi miei “amici”, alcuni dei quali stimo per la loro intelligenza, Umberto Eco avrebbe fatto meglio a tacere. Io, invece, che la penso proprio come lui e che ho sempre ammirato la sua capacità di analisi dei fatti e dei fenomeni comunicativi, avrei voluto rispondere d’istinto alle critiche e schierarmi dalla parte del professore. Sarebbe stata la cosa più facile da fare. D’altronde è proprio questa la principale caratteristica della comunicazione su Facebook e in generale sulla maggior parte dei social network: scrivere o pubblicare ciò che si ha in testa senza pensarci più di tanto.
Questa volta però ho resistito. Ho ritenuto più opportuno, prima di esprimere un giudizio, comprendere meglio il pensiero di Eco. Così, dopo aver trovato e visto su YouTube il video integrale dell’incontro, ho avuto la conferma di quello che pensavo: i social network semplificano ai minimi termini il confronto creando corto circuiti informativi e comunicativi.
Le critiche dei miei “amici” molto probabilmente si basavano soltanto sulla lettura dei titoli del giornali da cui hanno appreso la notizia. Detta così, infatti, “i social media danno diritto di parola a legioni di imbecilli”, sembra una stroncatura dei social da parte del più grande esperto italiano di comunicazione.
Il discorso di Eco è ben più articolato: “I social permettono alle persone di restare in contatto tra loro, ma danno anche diritto di parola a legioni di imbecilli che prima parlavano al bar dopo un bicchiere di vino e ora hanno lo stesso diritto di parola dei Premi Nobel”. La questione si lega al tema della mancanza del filtraggio che per Eco ha una valenza educativa fondamentale: “Il grande problema della scuola oggi è insegnare ai ragazzi come filtrare le informazioni da internet. Anche i professori sono neofiti di fronte a questo strumento”.
Per il professore un bravo insegnante dovrebbe dire agli studenti: “questo è il tema, copiate liberamente da internet, ma usate almeno dieci siti”. In questo modo “gli studenti sono portati a paragonare tra loro i siti e accorgersi che ci sono delle contraddizioni e nasce così il problema critico”.
La questione del filtraggio si lega a quella delle tante bufale che circolano sui social, spesso considerate da molti utenti come notizie vere. Ricordo, ad esempio, il caso del cadavere di una sirena spiaggiata su una delle coste della Sicilia e ripreso anche da alcuni autorevoli quotidiani online. Si tratta di un’abitudine molto diffusa, come diffusi sono i siti di informazione basati proprio sulle bufale e sulle “notizie spazzatura”, i cui link invadono i diari di migliaia di utenti dei social.
È evidente che i social sono degli strumenti straordinari di comunicazione, ma di fronte a fenomeni del genere non si può ignorare l’esigenza di un’educazione all’utilizzo dei nuovi media, nei confronti di giovani e adulti. Basti pensare che internet ed i social media sono entrati in modo preponderante nella nostra dieta mediatica quotidiana. E se è vero che “noi siamo ciò che mangiamo” forse è utile imparare a distinguere il cibo buono da quello cattivo.