«MA VOI, CHI DITE CHE IO SIA?»
(Is 50, 5-9a; Gc 2, 14-18; Mc 8, 27-35)
L’immagine di Gesù che tocca le orecchie e le labbra del sordomuto sono ancora vive nella nostra memoria. Questa domenica, il profeta Isaia ci presenta il Servo di Jahvé che riceve lui stesso il tocco della mano di Dio, che apre il suo orecchio. É un segno profetico di grande efficacia, per farci comprendere che questo ministro di Dio è pronto ad ascoltare e mettere in pratica tutto quello che il Signore gli suggerisce. Questa disponibilità è mostrata con una descrizione delle sofferenze a cui il servo di Jahvè viene sottoposto, rimanendo fedele al Signore. La sequela è impressionante: dagli insulti e dagli sputi fino allo strappo crudele della barba e alla flagellazione. Non si può non vedere in questi cenni un anticipato annuncio della Passione che il fedele Servo di Jahvè, Gesù, ha sofferto davanti al sinedrio e al tribunale di Pilato. Dopo aver guarito il sordomuto e ridato la vista a un cieco, Gesù si trova in cammino verso Cesarea di Filippo, in territorio prevalentemente pagano, e nel cammino fa una sosta, ponendo ai suoi discepoli delle domande serie e importanti, che non poteva più rimandare.
La prima domanda è molto generica: «La gente, chi dice che io sia?». Essa non provoca alcuna difficoltà e i discepoli sono ben pronti a rispondere. Le loro risposte sono immediate. Chi ritiene Gesù come un profeta, chi come un uomo di Dio, chi addirittura come lo stesso profeta Elia e cose del genere. I discepoli riportano quello che hanno sentito dire dalla gente comune e che probabilmente anch’essi condividono. Ma, dopo averli fatti parlare, Gesù fa un’altra domanda che li provoca in prima persona. Un vero discepolo non può contentarsi del sentito dire riguardo al suo maestro, ma deve essere in grado di dire quello che lui stesso ha intuito, vivendo assiduamente con Lui. La risposta è quindi strettamente personale: «Ma voi, chi dite che io sia?». Da tempo sono con lui, lo hanno seguito, mangiano con lui, sono a contatto diretto con lui, ascoltano anche in privato i suoi insegnamenti. Cosa hanno capito di Gesù, cosa possono dire veramente di Lui? Lì per lì sembra che i discepoli siano imbarazzati, ma Pietro risponde per tutti con foga ed entusiasmo: «Tu sei il Cristo».
Pietro ha dato una risposta giusta, ma Gesù sa che quando Pietro dice “il Cristo, il Messia”, pensa a cose diverse da quelle che pensa Gesù. Il Cristo di Pietro è lo stesso Cristo della gente, il Messia potente che agisce con la forza di Dio per liberare il suo popolo e restaurare Israele riportandolo all’antica gloria del tempo di Davide. Ecco perché Gesù ordina subito il silenzio assoluto su questo argomento. Prima di dire che Lui è il Cristo, devono capire qual è l’idea di Gesù riguardo al Cristo, il Messia atteso. Infatti comincia subito a istruire i discepoli su questo argomento cruciale, annunciando già subito che, contrariamente alle loro idee, il Cristo, che Gesù chiama in maniera molto personale “il Figlio dell’Uomo”, è uno che affronterà una sorte vergognosa e infame: dovrà soffrire molto, essere preso, rifiutato dai capi del popolo, condannato e messo a morte, e … Pietro non può più ascoltare questo discorso, tanto che prende Gesù in disparte e, con l’aria dell’amico che ti vuole correggere, dice con energia a Gesù che tutto questo non gli deve accadere. Questa sorte non può essere quella del Messia. Egli è al di sopra di tutte queste bassezze e umiliazioni.
A sua volta anche Gesù reagisce con decisione, usando un linguaggio durissimo: «Va dietro a me, Satana!». Pietro è chiamato da Gesù con un appellativo tremendo, “Satana”, l’avversario, l’oppositore. Nelle parole di Pietro, infatti, Gesù sente l’eco del tentatore. Per questo motiva immediatamente la sua espressione, dicendo: «Tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini». Improvvisamente sembra che la scena cambi e Gesù si trova di fronte alla folla, perché tutta quella gente ha bisogno di capire quale tipo di Messia Gesù vuole rappresentare. Anche noi, del resto. Ma per riuscire a far questo deve spogliarsi della mentalità mondana e cominciare a entrare nel pensiero di Gesù. Pietro voleva fare da maestro a Gesù, suggerendogli cosa fare o non fare, ma Gesù gli ricorda che il suo vero posto è quello del discepolo, di colui che deve andare dietro al Maestro, pronto a seguirlo dovunque egli vada, fino a rinunciare a se stesso, alle sue vedute personali e pesino alla sua vita, per rimanere legato a Gesù e al suo vangelo.
Due espressioni, credo, continueranno a risuonare a lungo nelle nostre orecchie, e con le quali siamo chiamati a fare i conti, se vogliamo continuare a stare con Gesù. La prima è data dalla domanda che Gesù oggi rivolge a noi, come comunità e come singole persone: «Ma voi, chi dite che io sia?». Non è facile rispondere a questa domanda, e dobbiamo riconoscere che abbiamo bisogno di lasciarci interpellare continuamente da Lui. Non possiamo dare per scontato di conoscerlo bene, perché rimarrà sempre uno scarto notevole tra quello che pensiamo noi e quello che pensa Lui. Abbiamo bisogno di saper mantenere la nostra posizione di discepoli, pronti sempre a lasciarci ammaestrare da Lui e lasciarci guidare dalla sua parola. La seconda espressione si collega a questa, perché ci aiuta a mantenerci costantemente in stato di revisione ed essere pronti a confrontarci con Gesù e la sua parola: «Tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini». Richiamo forte a mantenerci in umiltà, per verificare sempre il nostro pensiero e le nostre convinzioni, spogliandoci della falsa sicurezza di essere automaticamente l’eco fedele della sua parola e della sua volontà. Solo Gesù può rivelarci, con verità e autorità, il pensiero di Dio.
Giuseppe Licciardi (Padre Pino)