«DACCI SEMPRE DI QUESTO PANE!»
(Es 16, 2-4.12-15; Ef 4, 17.20-24; Gv 6, 24-35)
Ascoltiamo questa domenica una pagina molto complessa, che introduce il discorso di Gesù sul pane che viene dal cielo ed è capace di estinguere la fame dell’uomo. Questo discorso, che continuerà ancora nelle prossime domeniche, fa seguito al segno del pane moltiplicato da Gesù nel deserto, per sua libera ed amorevole iniziativa. Con quel segno Gesù fa comprendere come gli sta a cuore l’uomo nella globalità dei suoi bisogni, a partire da quelli immediati, come la fame e la sete, il desiderio di amare e di essere amati, come pure quella fame e sete più profonda, radicata nel cuore dell’uomo e che riguarda il suo spirito. Se l’avere saziato quella moltitudine viene considerato un “segno”, questo contiene un invito ad andare oltre il segno per coglierne il senso profondo. Il segno serve da stimolo, da indicatore. Se ci si ferma solo al segno e alla sua immediata concretezza, si compie un enorme errore trascurando il suo vero significato. Al popolo che nel deserto moriva di fame Dio mandò in abbondanza il cibo per sfamarsi, la manna, dicendo che quello era il segno che Dio era con loro.
«Man hu?», si chiedeva il popolo stupito, cioè: “cos’è mai questo?”. È un cibo misterioso, cibo di povertà, cibo di confidente abbandono nella provvidenza di Dio che si prende cura del suo popolo, cibo dato per l’oggi, senza poterlo accantonare per il domani, perché per il domani Dio provvederà al suo bisogno. Cibo che non può essere accaparrato, ma che si riceve sempre e ogni giorno in dono gratuito. Cibo che ti educa alla sobrietà, all’essenzialità, all’umiltà e alla fiducia. Cibo che ti rivela e ti dona la presenza di un Dio amico, che non ti abbandona ed è sempre lì, per te. Gesù fa riferimento a questo dono di Dio nel deserto, sottolineando intanto che esso veniva da Dio e che era Lui che nutriva il suo popolo, pur servendosi di un intermediario umano, Mosè. Ma quel cibo era anch’esso un segno, segno del pane vero che Dio aveva preparato per il suo popolo e che avrebbe donato a suo tempo. Ora il tempo è giunto ed il Padre è pronto a dare il suo nuovo pane, ma esige una risposta da parte dell’uomo: «Datevi da fare non per il cibo che non dura…».
L’insidia di fermarsi solo a saziare il corpo è sempre alle porte. Gesù denuncia senza mezzi termini la ricerca del popolo, orientata esclusivamente in senso materiale, solo verso ciò che perisce, e quindi rivela la sua vacuità ed inconsistenza. Essi lo cercano perché hanno mangiato i pani nel deserto e si sono saziati e pensano quindi di avere trovato una soluzione a buon mercato per i loro bisogni materiali. Gesù li invita a cercare, a “darsi da fare” per un tipo di cibo, quello che non deperisce e dura per la vita eterna. La provocazione di Gesù sembra abbia una immediata riuscita. La gente sembra disposta a fare qualcosa: «Che cosa dobbiamo compiere per fare le opere di Dio?». A questa apparente e manifesta disponibilità della gente Gesù riisponde che c’è una sola cosa da fare: credere, credere in Lui, perché è Lui che il Padre ha mandato. Ma, di fronte a questa risposta, che li mette di fronte al problema più serio, quello della fede ecco che ancora una volta avviene un arresto e un brusco retromarcia: “quale segno tu compi perché noi possiamo credere? Ancora una volta siamo punto e a capo!
Incredibile! I segni finora compiuti non bastano a questa gente incredula, che vuole godersi lo spettacolo e gli immediati vantaggi delle opere straordinarie compiute da Gesù, delle innumerevoli guarigioni e, ultimamente, di quel segno di grandezza sproporzionata, la moltiplicazione dei pani e dei pesci, che ha sfamato tutte quelle migliaia di persone che avevano seguito Gesù. Ma questo non era loro bastato. Vogliono sempre altri segni, che hanno solo lo scopo di saziare la loro curiosità, il loro interesse, i loro bisogni. Mentre il segno mira a far rivolgere lo sguardo e l’attenzione al Signore, che li compie, essi cercano solo se stessi, ma si rifiutano di seguire la logica stringente dei segni che inesorabilmente li porta a Gesù, a credere in Lui, ad accogliere la sua parola, a riconoscerlo come il loro Signore, cui dedicare la loro personale esistenza. Non basta proclamarlo “profeta”, se poi ci si tira indietro dinanzi alla parola che egli annuncia nel nome del Padre. Il segno ormai è Lui stesso, la sua persona. Il pane che la gente cerca, l’unico che può sfamare per la vita eterna è proprio Lui.
Questa affermazione viene fatta dapprima in forma indiretta, ma poi in termini diretti ed inequivocabili. Il pane vero, quello che il Padre vuole dare al mondo, è Colui che discende dal cielo ed ha il potere di dare la vita al mondo. A questa prima affermazione segue una richiesta ardente: «Signore, dacci sempre di questo pane». Bellissima richiesta che possiamo e dobbiamo fare subito nostra. Quel sempre eterno viene proporzionato al nostro limite, alla nostra temporalità e debolezza, e risuona così: “dacci ogni giorno di questo pane”, daccelo giorno per giorno, proporzionandolo sempre al nostro bisogno quotidiano e ponendoci in fiduciosa attesa per il domani, perché il Padre sa ciò di cui noi abbiamo bisogno. Così la pagina del Vangelo si chiude con un’altissima rivelazione che Gesù fa della sua persona: «Io sono il pane della vita; chi viene a me non avrà fame e chi crede in me non avrà sete, mai!». Ci fermiamo colmi di stupore e di desiderio, rispondendo a nostra volta: «Signore, dacci sempre di questo pane». Fa’ che ardiamo sempre, incessantemente dal desiderio di questo pane.
Giuseppe Licciardi (Padre Pino)