Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria
(Ez 2, 2-5; Salmo 122/123; 2Cor 12, 7-10; Mc 6, 1-6)
Questa pagina del Vangelo di Marco, che ci racconta il ritorno di Gesù insieme con i suoi discepoli nella cittadina di Nazaret – la sua patria, dove era cresciuto insieme con Maria sua madre e Giuseppe, il falegname, da tutti riconosciuto come suo padre, e dove vivevano i suoi parenti ed amici – ci lascia con l’amaro in bocca. Gesù non si aspettava di essere accolto con tanta freddezza e indifferenza, anzi con senso di estraneità e di rifiuto, proprio dai suoi concittadini. Eppure avevano sentito raccontare di lui tante cose incredibili e straordinarie. Si diceva che altrove, dove da alcuni mesi si era trasferito, soprattutto nei paesini situati attorno al lago di Galilea, come Cafarnao, Betsaida, Genezaret ed altri villaggi, tanta gente lo aveva seguito per ascoltarlo, affascinata dalla sua parola che toccava profondamente il loro cuore e, soprattutto, perché aveva guarito tanti malati, liberato persone tormentate da spiriti immondi. Ma cosa era successo quella mattina di sabato, quando, secondo il suo solito, Gesù si era recato nella sinagoga di Nazaret con i suoi discepoli?
Anche qui, dopo aver partecipato alle preghiere comuni ed ai canti di lode a Dio, Gesù si alza, legge una pagina della Scrittura e inizia a commentarla di fronte ai suoi compaesani. All’inizio sembravs che il suo insegnamento suscitasse molta curiosità e attenzione, tanto che erano meravigliati della sapienza che sprigionava dalle sue parole. Ma a poco a poco comincia a sorgere una critica sottile, che manifestava una forma di rancore e di gelosia nei suoi confronti, come se Gesù avesse voluto fare sfoggio della sua eloquenza e quasi quasi farli sentire in imbarazzo. Bastarono i primi commenti malevoli che l’atmosfera della sinagoga si surriscaldasse e diventasse satura di cattiveria e di malevolenza. “Ma chi si crede di essere? Forse che non conosciamo la sua famiglia? I suoi fratelli e le sue sorelle non li conosciamo forse da sempre? Cosa hanno di straordinario? Sono gente come noi! E fino a pochi mesi fa Gesù stesso non faceva forse il falegname? Chi pretende di essere diventato ora? Tutti questi discorsi non facevano che aumentare il loro malumore nei confronti di Gesù, che ne era molto amareggiato.
Certo che il ritorno in casa non stava dandogli quella normale gioia che si aspettava nel rivedere la persone care, i conoscenti, gli amici, tanti per cui aveva pure lavorato, facendo il mestiere del falegname! Ed invece non trova altro che freddezza e indifferenza. Così trae la sua amara conclusione, ricordando la sorte che era accaduta a tanti profeti, di cui la Scrittura parla abbondantemente: “Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria!” Anche lui sta subendo la stessa sorte di non essere né ascoltato, né compreso persino dalle persone più care, con le quali era vissuto insieme per tanti anni. Addirittura sente una forma di disprezzo nei suoi confronti, di cui non riesce a comprendere la ragione. Ma il richiamo alla Scrittura in qualche modo lo illumina: sembra che stia vivendo quello che già in passato aveva vissuto il profeta Ezechiele, il quale era stato mandato al popolo d’Israele, che il Signore chiama “razza di ribelli”, il quale non ha dato ascolto alla parola di Dio. Tuttavia al profeta viene comandato di andare e parlare ugualmente, “ascoltino o non ascoltino”!
Gesù, anche se con intima sofferenza, comprende che non si deve lasciare fermare dalla incredulità dei suoi paesani, che purtroppo ricade anzitutto su di loro stessi, perché rifiutando di ascoltarlo, rifiutano Colui che Dio stesso aveva loro mandato. Inoltre, la chiusura dei suoi compaesani impedisce al Signore di far scendere una incredibile pioggia di guarigioni e di grazie su di loro, proprio a motivo della loro incredulità. Come la fede diventa il terreno fertile che consente all’amore di Dio di manifestarsi e di crescere in mezzo al suo popolo, allo stesso modo l’incredulità blocca la misericordia di Dio, nella misura in cui non viene accolta con cuore semplice e ben disposto e le si impedisce di portare il suo frutto. L’evangelista Marco è ben consapevole di questa verità, tanto che molto chiaramente la vuole rendere manifesta nel su vangelo, dove annota che lì, in quel clima di incredulità, Gesù non potè compiervi nessun prodigio. Ma non per questo la sua bontà si lascia vincere dalla durezza di cuore e dalla malvagità, per cui anche lì “impose le mani a pochi malati e li guarì”.
Nonostante questo amaro ed inaspettato fallimento conosciuto a Nazaret, Gesù non si chiude in se stesso, non sta a rimuginare su quanto gli è accaduto, ma reagisce, prende in mano la situazione e decide di continuare la missione per la quale il Padre lo ha mandato. Già al profeta Ezechiele il Signore aveva detto chiaramente che il suo compito era quello di annunciare la parola, senza lasciarsi bloccare dal rifiuto e dalla incredulità del suo popolo. Gesù agisce di conseguenza, perché il popolo sappia “almeno che un profeta si trova in mezzo a loro”. Anche Paolo conosce le sue debolezze e le sue sofferenze e deve combattere contro le varie difficoltà e persino le persecuzioni che incontra sul suo cammino, ma non per questo si ferma, anzi giunge ad affermare che é proprio in mezzo alle sue debolezze che egli può fare esperienza della potenza di Dio che opera in lui: “quando sono debole, è allora che sono forte”. Così la pagina del vangelo di oggi chiude con una notazione bellissima, che ci rivela la fedeltà di Gesù al progetto del Padre: “Gesù percorreva i villaggi d’intorno, insegnando”.
Giuseppe Licciardi