Vegliate dunque, perché non sapete né il giorno né l’ora
(Sap 6,12-16; Sal 62; 1Ts 4,13-18; Mt 25,1-13)
Avvicinandosi la fine dell’anno liturgico, la Chiesa ci invita ad orientare lo sguardo verso le ultime realtà, e guardarle come la meta del nostro pellegrinaggio terreno, come il compimento ultimo di tutto ciò che fin da ora abbiamo desiderato e atteso. Si tratta quindi di un amorevole, ma serio e urgente invito di Dio, che vuole in ogni caso il meglio per noi; il cui unico desiderio è di vederci raggiungere la realizzazione di noi stessi. Egli lo fa perché, se la sua promessa è certa, non altrettanto certo è l’esito del nostro cammino, perché, a seconda dei percorsi che noi facciamo, possiamo giungere al pieno successo oppure al fallimento. Ecco il perché di questo appello sollecito di Dio a vivere con saggezza la nostra esistenza terrena, in modo da non seguire false e ingannevoli piste che ci fanno deviare dal sentiero che conduce alla vita. E voglio lasciarmi affascinare dall’appassionata invocazione di amore del salmo 62. Essa ci trasmette un fortissimo desiderio di Dio che invade e colma di gioia l’anima del credente e ne orienta le scelte, a cominciare dall’aurora fino alle veglie della notte, perché ha fatto la più esaltante scoperta: “Il tuo amore vale più della vita“.
Quando si è fatta questa scoperta, allora ogni scelta tende a mantenere vivo e ardente dentro di noi questo amore di Dio da preporlo ad ogni altra scelta, anche la più seducente e raffinata che si presenta davanti ai nostri occhi per sedurci e farci allontanare da Dio e dal suo amore. Ecco perché l’ignoto autore del libro della Sapienza ci suggerisce di non avventurarci come degli sprovveduti nel cammino della vita, ma di procedere gli occhi aperti, lasciandoci guidare dalla Sapienza che viene dall’alto, dono gratuito di Dio. La può ricevere chiunque apre il suo cuore e si lascia accompagnare da lei. Essa “facilmente si lascia vedere da coloro che la amano e si lascia trovare da quelli che la cercano“. Anzi l’autore ci assicura che se uno la cerca veramente, fin dal mattino la vede seduta davanti alla sua porta, pronta a muoversi con lui per accompagnarlo e aiutarlo a realizzare ogni progetto di bene e di vita che egli sta seguendo. Questo invito ad agire con saggezza e discernimento, evitando ogni leggerezza e superficialità, costituisce la premessa per poter accogliere il serio insegnamento che Gesù ci dà nella parabola delle dieci vergini.
Il tema delle parabole è “il Regno dei cieli”, la realtà più straordinaria ed affascinante che Dio Padre ha preparato per i suoi figli, e che Gesù è venuto a mostrare ed anticipare con la sua presenza in mezzo a noi. Noi tutti siamo invitati a partecipare a questo regno, che ci viene presentato attraverso l’immagine di un banchetto di nozze a cui siamo invitati e di cui siamo in attesa. Le dieci vergini che attendono lo sposo rappresentano ciascuno di noi, nella misura in cui ci ricordano quali sono le disposizioni con cui viviamo l’attesa. Ma nello stesso tempo ci suggeriscono che questo regno già si va preparando qui ed ora, in questo pezzo di storia che andiamo vivendo giorno dopo giorno nella nostra esistenza quotidiana, con i suoi problemi, le sue difficoltà, suoi rischi, i suoi pericoli, le sue tragedie e le sue bellezze, le sue gioie e le sue sofferenze, i suoi impegni e le sue illusioni. Di queste dieci vergini ci viene detto, in maniera schematica e come esempio, che cinque di esse erano stolte e cinque invece erano sagge. Nei libri sapienziali della Sacra Scrittura, lo stolto è colui che nella sua esistenza non tiene conto di Dio, il saggio invece è colui che cerca Dio e vive secondo i suoi desideri.
L’attesa di queste dieci vergini indica chiaramente il tratto di esistenza che ci viene dato di vivere e di cui non conosciamo affatto la durata. Siamo in attesa dello Sposo, ma non ci è dato di sapere quando egli arriva. Il problema allora, la cui soluzione è affidata a ciascuno di noi personalmente, è come viviamo questo tempo che ci è stato assegnato, quale uso facciamo della nostra esistenza. In maniera figurata, ci viene detto che le cinque vergini stolte, quelle che hanno perso di vista il perché di questo loro attendere, hanno preso con sé le lampade, ma non si sono provviste di altro olio, in maniera da mantenere sempre accese le loro lampade fino all’arrivo dello sposo. Le sagge invece hanno preso con sé dei vasetti pieni di olio in modo da non rimanere al buio ed accogliere nella luce e nella gioia lo sposo. Le lampade rappresentano la nostra esistenza, quello che abbiamo ricevuto da Dio. L’olio rappresenta il lavoro che facciamo per mantenere ed alimentare quello che abbiamo ricevuto: tutte le opere di amore, di giustizia, di solidarietà, di promozione, che consentono a noi di essere luce per gli altri, e ci fanno essere segni luminosi di speranza in questo mondo.
La parabola narra che tutte e dieci ad un certo punto si addormentarono, mentre l’olio delle lampade andava esaurendosi. Questo addormentarsi ci ricorda le nostre stanchezze, le nostre negligenze, lo smarrimento in cui ci veniamo a trovare in tante situazioni della nostra ingarbugliata esistenza, dove sembra che le forze del male prevalgono e che il bene faccia fatica ad affermarsi. Non ci dobbiamo scandalizzare di quello che avviene quando le vergini, all’improvviso, vengono ridestate da una voce che annunzia l’arrivo imminente dello sposo. Allora si rendono conto che l’olio è agli ultimi sgoccioli. Le stolte chiedono un po’ di olio alla sagge, ma esse lo negano, dicendo che c’era il rischio di rimanere al buio tutte e dieci e non accorgersi dello sposo che veniva. Che andassero a comprarlo. Mancanza di carità? No, è invece la costatazione che nessuno può sostituirsi all’altro. Ognuno è responsabile della sua vita e di come la gioca davanti a Dio. Ecco il perché della terribile risposta dello sposo alle stolte, quando ritornano e bussano, gridando di aprir loro la porta: “Non vi conosco” ed ecco il perché del duro ammonimento finale, che continua a risuonare ai nostri orecchi: “Vegliate dunque, perché non sapete né il giorno né l’ora“.
Don Giuseppe Licciardi (Padre Pino)