Misericordia e perdono
“Perdonare fino a settanta volte sette”
(Sir 27,30-28,9; Sal 102; Rm 14,7-9; Mt 18,21-35)
“Il Signore è buono e grande nell’amore”. Questo ritornello del salmo responsoriale (Sal 102), ci delinea il profilo essenziale del volto di Dio, mentre ci invita a benedirlo, ricordando i suoi innumerevoli benefici. L’aspetto che viene messo in maggiore evidenza in questi versetti è rappresentato dalla misericordia e dalla bontà di Dio che ti avvolge, nella misura in cui “Egli perdona tutte le tue colpe, guarisce tutte le tue infermità, salva dalla fossa la tua vita”. Dio non ci tratta secondo i nostri peccati, ma allontana da noi le nostre colpe quanto l’oriente dista dall’occidente, come a dire che davanti a Lui essi non esistono più, una volta che ci ha perdonato. Dio è descritto come incapace per natura di serbare rancore verso coloro che lo hanno offeso. Anche se per un certo tempo può mostrare il suo volto adirato, alla fine lascia prevalere sempre la sua compassione verso gli uomini, perché sa bene come siamo fatti e come il nostro cuore è facilmente attratto dal male. Ecco perché il suo amore ha sempre la meglio sopra la sua ira.
Da questa visione della infinita misericordia di Dio, scaturisce per l’uomo l’esigenza interiore di entrare nella sua orbita e imparare a sua volta ad usare la misericordia ed il perdono. Ma è pur vero che l’ombra tenebrosa di Lamech, che uccide per una scalfittura e si vendica settanta volte per ogni offesa vera o presunta che subisce, continua a gravare sul cuore dell’uomo. Anche se la legge ha cercato di attenuare lo spirito di vendetta illimitata, con lo stabilire la misura dell’occhio per occhio e dente per dente, questo è sempre troppo poco per il cuore di Dio, che da sempre ha voluto farsi conoscere come pietoso e ricco di misericordia. Ed ecco come, attraverso i profeti, pur ammonendo gravemente il suo popolo e minacciandolo molto duramente di castigo, per farlo desistere da ogni forma di malvagità e soprattutto dall’idolatria, il suo linguaggio è orientato verso promesse di perdono ad oltranza per quanti ritornano a Lui con cuore pentito e sincero. Il messaggio dei profeti viene accolto dai sapienti d’Israele, di cui il Siracide si fa portavoce ed interprete autorevole, insistendo con grande energia ed efficacia sulla necessità del perdono nella vita di ciascun uomo.
Il testo del Siracide che ci viene proposto nella prima lettura è di viva immediatezza e di grande efficacia, soprattutto per la sua insistenza sul valore vitale del perdono e della dimenticanza delle offese, come via maestra per vivere in armonia con Dio e con I fratelli. Ed è assai interessante sottolineare come il termine costante di riferimento, proposto per l’agire dell’uomo, è dato dall’agire stesso di Dio. Se Dio è paziente e lento all’ira, anche l’uomo è chiamato a mostrarsi tale verso i fratelli. Se Dio è misericordioso e perdona le colpe, anche l’uomo deve usare lo stesso stile di Dio. Altrimenti, come può l’uomo chiedere di essere perdonato da Dio, se lui stesso per primo non perdona il fratello? Come può pretendere di essere ascoltato da Dio, se lui stesso è sordo di fronte alla richieste del fratello? Come può chiedere la guarigione al Signore, se il suo cuore è pieno di rancore verso il fratello? Gli interrogativi del Siracide sono molto stringenti e profondi ed hanno anche oggi per noi una forza di persuasione veramente straordinaria.
Su questa linea degli insegnamenti sapienziali, che considerano l’agire di Dio come il modello e la misura valida per l’agire dell’uomo, si pone immediatamente Gesù, proclamando beati i miti ed i misericordiosi, spingendosi ancora oltre, col proclamare beati addirittura coloro che subiscono persecuzione e violenza nel suo nome, non rispondono al male col male, lasciando a Dio il compito di fare giustizia. Anche se facendo molta fatica, gli apostoli non rimangono indifferenti al suo insegnamento, tanto che Pietro, come leggiamo nel Vangelo di questa domenica, volendo manifestare apertamente che aveva capito bene la lezione, chiede con impeto a Gesù: “Signore, se il mio fratello commette colpe contro di me, quante volte dovrò perdonargli? Fino a sette volte?”. Pietro è convinto di aver esagerato la misura del suo perdono, perché, nella mentalità comune più proclive al perdono, perdonare fino a tre volte al fratello che ti ha offeso, era il massimo che si potesse fare e pretendere. Per questo Pietro alza la misura della sua capacità di perdono, arrivando fino a sette volte.
Pietro era convinto di avere fatto una affermazione grandiosa. Ma la risposta di Gesù lo spiazza completamente: “Non ti dico fino a sette volte, ma fino a settanta volte sette!”. E si serve della parabola del debitore graziato dal padrone di una fortissima somma che gli doveva, a motivo della sua pressante richiesta, ma che a sua volta si mostra duro ed intransigente verso un suo conservo che doveva a lui una piccolissima somma di denaro, ma ch e non era in grado di restituire. Questo servo malvagio, graziato dal padrone, fa poi mettere in prigione il suo conservo, non volendo ascoltare le sue accorate suppliche di avere pazienza con lui. A questo punto interviene il padrone che con molta durezza lo richiama alla verità dei fatti: “Non dovevi anche tu aver pietà del tuo compagno, così come io ho avuto pietà di te?”. L’agire del padrone gli viene posto come modello di comportamento. Come può uno che ha ricevuto un bene così grande chiudere il suo cuore e non aprirlo alle necessità degli altri, per fare sì che la catena di misericordia che lo aveva avvolto si prolungasse? Dopo aver raccontato la parabola, Gesù si rivolge a coloro che lo ascoltavano con un severo insegnamento, che traduce il senso più profondo della parabola: “Così anche il Padre mio celeste farà con voi se non perdonerete di cuore, ciascuno al proprio fratello”. E qui, l’avverbio “di cuore” dice tutto.
Don Giuseppe Licciardi (Padre Pino)