«IMPARATE DA ME, CHE SONO MITE E UMILE DI CUORE»
(Zc 9,9-10; Sal 144; Rm 8,9.11-13; Mt 11,25-30)
Mentre Dio fin dalle prime pagine della Scrittura ci viene descritto come Colui che ha voluto dare all’uomo la sua immagine e somiglianza, l’uomo, da parte sua, ha cercato sempre di farsi un Dio a propria immagine e somiglianza. Se oggi Dio stesso invita il suo popolo a lasciarsi inondare dalla gioia, perché Egli, il suo Dio gli viene incontro, è perché viene offerta al popolo un’occasione straordinaria per riconoscere come è veramente questo Dio. E sebbene si presenta con l’appellativo di “vittorioso”, tuttavia questo aggettivo è associato ad un altro, che ci da le ragioni della vittoria di Dio: Egli è un Dio “giusto e vittorioso”, e la vittoria gli viene proprio dalla sua “giustizia”, cioè dalla capacità di far risplendere la sua santità in ogni sua azione. La vittoria di Dio sta nella sua bontà, nella sua mitezza, nella sua capacità di rompere ogni arma di guerra, per trasformarla in strumento di pace e di lavoro per costruire una società solidale e fraterna, che spezza la logica della violenza che genera solo morte ed oppressione. Non si compiace della forza e dell’ostentazione, ma viene cavalcando un umile asinello, non un cavallo di battaglia.
Quest’idea di Dio viene fortemente rafforzata dal vibrante inno di lode a Dio contenuto nel salmo responsoriale, che ci presenta ancora Dio soprattutto con le caratteristiche che Egli stesso ha voluto sempre far risaltare, definendosi, “misericordioso e pietoso, lento all’ira e grande nell’amore”. Ogni altra idea di Dio che non rientra in questa definizione che Dio stesso ci da di se stesso, è da ritenersi senza dubbio inesatta e fuorviante. Quello non è il Dio che si è rivelato soprattutto nel volto umano del Cristo. Per dare qualche esempio di questa misericordia di Dio il salmista aggiunge che Dio segue passo passo il cammino dell’uomo ed è pronto a sostenerlo nel momento in cui vacilla per la sua debolezza ed è pronto subito a rialzarlo quando per la spossatezza viene meno e cade. Non quindi un Dio pronto a sgridare l’uomo per i suoi sbagli e a farlo sentire fallito ed inetto ogni volta che non corrisponde alle aspettative, ma pieno di tenerezza e di comprensione, ridandogli ogni volta fiducia e coraggio perché continui ad andare avanti, per il fatto che Dio continua a fidarsi di lui e continua sempre a perdonarlo. L’uomo non deve avere paura di Dio, ma deve fidarsi di Lui.
Questo atteggiamento di fiducia e confidenza filiale in Dio ci viene inculcato con insistenza da Gesù, l’unico che conosce veramente Dio e quindi l’unico che può parlarci autorevolmente di Lui. E la cosa fondamentale che Gesù ci insegna è che Dio è Padre e ce lo mostra nel modo in cui si rivolge a Lui, attraverso la preghiera di lode e di benedizione. La benedizione fa trapelare con forza la gioia che Gesù assapora nel pensare al Padre, nel rivolgersi a Lui rivelandoci la sua estrema vicinanza e trascendenza, perché lo chiama “Padre, Signore del cielo e della terra”. Questo è quel tipo di conoscenza, propria del Figlio, che Gesù ci vuole rivelare. Per me è una espressione di una tenerezza straordinaria, perché ci da ragione del fatto che noi possiamo andare con fiducia a Lui, certi che ci ama e che è dalla nostra parte, ma anche che è in condizione di aiutarci in tutte le nostre necessità. Egli è un Dio che volge il suo sguardo anzitutto ai piccoli e agli umili, a coloro che non hanno titoli da presentare o diritti da pretendere, ma solo il loro estremo bisogno da mettere davanti, per cui non possono far altro che fidarsi di Lui, che è Padre e Signore del cielo e della terra. A questi poveri, piccoli, umili, dimenticati, sofferenti e svantaggiati della terra Gesù dice che possono contare certamente su Dio e su colui che ce lo rivela, Gesù.
A tutti costoro, verso i quali prova un senso profondo di compassione e di profonda empatia, Gesù rivolge il suo accorato e fraterno invito: “Venite,… prendete, … imparate!”. Tutti possiamo avvicinarci a Gesù, anzitutto perché Lui per primo si è avvicinato a noi e si è fatto prossimo di tutti diventando uno di noi. Per questo possiamo avvicinarci a Lui senza paura e senza vergogna: senza paura di essere respinti, giudicati e condannati, perché egli è venuto per salvarci; e senza vergogna a motivo delle nostre debolezze, infedeltà e dei nostri peccati, perché Egli è colui che prende su si sé il nostro peccato e è sempre disponibile al perdono. Egli sa bene che siamo oppressi e affaticati dal peso della vita, dal peso di una religiosità vuota, fatta di osservanze esteriori e riti che sono spesso fine a se stessi e non sollevano l’uomo e non gli danno la gioia di servire Dio. Gesù invita ciascuno a prendere su si sé il suo giogo, cioè il suo comandamento, che consiste principalmente nell’amare Dio ed il prossimo, educa alla legge dell’amore, un amore esigente, pronto a dare tutto e a mettere in gioco pure la propria vita per rimanere fedeli a Lui, ma una amore che libera, salva e da gioia.
L’ultimo invito è quello di “imparare” da Lui. Le caratteristiche che Gesù più intende trasmettere a noi suoi discepoli sono quelle della mitezza e della umiltà, due virtù che sono espressioni di vera forza e valore interiore. Al contrario esse sono viste come appannaggio dei deboli, di chi non ha potere e ricchezze e di chi non conta nella società, dominata dai ricchi di denaro e di sapere e dai potenti che detengono tutte le leve di potere della società, con alleanze basate su interessi di vario genere, ma sempre a scapito degli ultimi e dei piccoli della società. Sono queste invece le qualità preminenti del principe di pace, il cui dominio si estende fino ai confini della terra. Gli effetti che raggiungono quanti ascoltano l’invito di Gesù sono straordinari. Chi lo segue si libererà dal giogo dell’oppressione, dell’odio, della vendetta, del risentimento e della violenza e troverà l’inattesa ed invincibile forza della pace interiore, il “ristoro” come lo chiama Gesù, la sua pacificazione. E chi avrà l’audacia di prendere il suo giogo, vivendo come segno di vero amore l’osservanza gioiosa dei suoi comandamenti, mettendosi alla scuola dell’unico e solo maestro restando in spirito di apertura del discepolo, ancora una volta otterrà il prezioso frutto della gioia e della pace interiore, che alimenteranno costantemente la sua esistenza quotidiana.
Giuseppe Licciardi (Padre Pino)